La biologia della politica economica

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Quando ero al liceo, la biologia non mi piaceva molto. Del liceo classico amavo le materie umanistiche, soprattutto il greco, mi appassionavano la matematica e la fisica, ma la biologia non ha mai suscitato in me grande interesse.

Le cose, con mia sorpresa, sono un po’ cambiate nella parte finale della facoltà di economia. Mentre scrivevo la tesi di laurea, ho letto alcuni articoli di Axelrod sulla complessità della cooperazione e, negli anni, ho continuato a interessarmi all’argomento. In uno dei suoi lavori, l’autore fa un paragone con la biologia e spiega come la riproduzione sessuata che avviene in moltissime specie, soprattutto di organismi complessi e di grandi dimensioni, possa apparire estremamente inefficiente: servono due individui di sesso diverso per la riproduzione. Un costo altissimo, se si pensa che può raggiungere il 50% della popolazione: né i maschi né le femmine da soli, infatti, sono in grado di mettere al mondo nuovi esemplari.

Da una prospettiva economica, questo rappresenta un problema curioso. La natura infatti è sempre additata come un esempio di efficienza, quindi ci dev’essere un motivo valido per la diffusione della riproduzione sessuata che ha un costo tanto elevato, soprattutto in individui grandi, rispetto a quella asessuata che genera repliche identiche.

L’ipotesi che Axelrod ha testato e verificato con simulazioni al computer, svolte insieme al celebre biologo evolutivo Hamilton, è che il beneficio offerto dalla riproduzione sessuata sia quello di proteggere gli organismi più grandi e complessi, fra i quali è diffusa, dai parassiti. I parassiti sono più piccoli e sono in grado di riprodursi rapidamente e quindi di adattarsi più velocemente all’organismo che li ospita, sconfiggendone il sistema immunitario. Attraverso l’incrocio del patrimonio genetico di due genitori diversi, la riproduzione sessuata introduce una maggiore variabilità negli esemplari di una specie, che quindi possono rispondere meglio alla minaccia dei parassiti, difendendo l’organismo e consentendo la sopravvivenza della specie nel tempo.

Scorriamo velocemente avanti nel tempo fino agli anni successivi alla Grande Crisi Finanziaria (GFC) del 2008 e alla pandemia di Covid-19 del 2020. Nel 2008, il grande e complesso organismo dell’economia mondiale, a cominciare dal sistema finanziario che di fatto metaforicamente ne rappresenta l’apparato cardiovascolare, ha subito un grave choc, che lo ha indebolito. Non solo, ma la natura dello choc è stata molto diversa da quella degli otto decenni precedenti. Il sistema immunitario dell’economia globale, quindi, era impreparato a difendersi e ha impiegato un certo tempo a sviluppare una difesa.

Le iniziative e gli annunci di politica economica, nella prima fase della GFC e negli anni successivi, giusti e sbagliati, perché non possiamo dimenticare il rialzo dei tassi di Trichet nel 2011, sono stati di politica monetaria. Le Banche Centrali reagiscono abitualmente in modo espansivo in un periodo di rallentamento o recessione e il fatto che nell’occasione la crisi avesse toccato il settore finanziario ha reso il livello di coinvolgimento e di responsabilizzazione delle autorità di politica monetaria ancora maggiore del solito.

Dall’avvio dell’espansione monetaria anche non convenzionale della Federal Reserve nel 2008 e soprattutto dal “whatever it takes” di Draghi del Luglio 2012, la politica monetaria si è riprodotta in modo sostanzialmente identico a sé stessa, su due filoni: riduzione dei tassi di riferimento, arrivando anche a livelli ampiamente negativi, e acquisto di titoli di vario tipo. Le variazioni hanno riguardato principalmente le dimensioni degli interventi e la tipologia di titoli, dalle obbligazioni governative agli ETF azionari a seconda dei Paesi, che le Banche Centrali sono state autorizzate ad acquistare. Non una vera e propria clonazione, ma una rapida replicazione di individui (cioè interventi e annunci) sempre molto simili fra loro.

A onor del vero, bisogna dire che le autorità di politica monetaria, in particolare la BCE di Draghi, hanno da subito invitato il mondo della politica a lavorare sul versante fiscale e delle riforme strutturali, per i singoli Paesi e per l’Eurozona in generale. Questi appelli sono caduti nel vuoto per anni e le Banche Centrali, in particolare la BCE, sono rimaste sole a fronteggiare le incertezze e le avversità dell’economia, laddove si manifestavano, e a cercare di assicurare la stabilità del sistema finanziario, replicando in una sequenza sempre più lunga di generazioni, i loro interventi di politica monetaria.

Nel corso degli anni, la politica è stata refrattaria ad accogliere l’invito ad agire sia nella fase in cui il suggerimento, a torto o a ragione, era di essere restrittiva, sia quando è stata invocata un’espansione fiscale. Le riforme, tolta l’unione bancaria in Europa, sono sempre state una materia off-limits. In pratica, nella nostra metafora biologica, anche la politica fiscale si è riprodotta in modo autonomo, rimanendo molto simile a sé stessa per anni.

È servito l’attacco di un virus, con la pandemia di Covid-19, per convincere i decisori dei singoli Paesi, in molte aree del mondo, e addirittura entità sovranazionali come l’Unione Europea, ad agire intensamente sulla leva della politica fiscale. Negli ultimi mesi sono stati annunciate manovre di politica fiscale di ingenti dimensioni: se sommiamo il valore teorico di premesse di spesa, tagli e dilazioni di pagamenti di imposta, stanziamenti per investimenti e garanzie per i finanziamenti di aziende private, oltre che pubbliche, si può arrivare a percentuali in doppia cifra del PIL di Paesi importanti.

Questa situazione è oggettivamente nuova per gli anni recenti. Non solo la pandemia, anche la risposta di politica economica. Per il mondo nel suo insieme, come per molti Paesi presi singolarmente, la commistione di politica fiscale e monetaria contemporaneamente espansive è una combinazione che non si vedeva da molti anni.

La reazione dei mercati finanziari è stata molto positiva, quella dell’economia reale ovviamente potrà essere valutata solo su orizzonti temporali più estesi, almeno di qualche trimestre.

Rimane il fatto che lo scenario di riferimento è mutato. La riproduzione della politica economica ha cambiato modalità: da una riproduzione autonoma e veloce, a una riproduzione sessuata, inevitabilmente più lenta, ma in grado di generare un maggior numero di possibili combinazioni e risultati.

Come in tutti i processi evolutivi, è verosimile che possa servire una fase di tentativi ed errori per capire quali combinazioni, quali caratteristiche degli interventi di politica fiscale e monetaria, possano rivelarsi più adatti per le diverse situazioni. Laddove la sola politica monetaria aveva cominciato a mostrare i suoi limiti, la possibilità di fondere nella politica economica il patrimonio genetico di due genitori, uno fiscale e uno monetario, mette potenzialmente a disposizione del mondo strumenti per fronteggiare un maggior numero di sfide, anche impreviste, grazie alla flessibilità di poter generare più “mutazioni” per rispondere. Non foss’altro che per un aspetto meramente biologico, in un contesto nel quale l’incertezza sull’economia, sui mercati e non solo, potrebbe essere destinata a perdurare, questo cambiamento nell’evoluzione della politica economica mi sembra positivo.