Su un sottile crinale

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La scorsa settimana Larry Summers, ministro del Tesoro durante l’amministrazione Clinton, e Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Mone­tario internazionale, hanno lanciato un monito sulle possibili conseguenze del piano Biden. Secondo Blanchard i prezzi al consumo potrebbero supe­rare di gran lunga il 2,5% previsto, provocando un aumento elevato dei tassi di interesse. Summers dal canto suo ha parlato di conseguenze negative per il valore del dollaro e per la stabilità finanziaria, aggiungendo che questo processo sarà gestibile se politica monetaria e fiscale saranno rapidamente adeguate per affrontare le conseguenti criticità. Il piano Biden è un passo avanti fondamentale e necessario, ma deve esserne valutato l’impatto, in modo che le scelte odierne non limitino quelle future e la sua attuazione non minacci la stabilità finanziaria.

Nel frattempo, dai minimi di inizio agosto il Treasury decennale ha segnato un progressivo rialzo dei rendimenti fino a toccare nei giorni scorsi l’1,17%, costruendo un canale ascendente che vede nell’1,25% l’obiettivo di breve termine. La risalita dei tassi d’interesse nominali è stata di fatto generata dall’aumento dell’inflazione attesa: dall’1,5% di fine luglio siamo arrivati in questi giorni a toccare il 2,2%, livello più alto da ottobre 2018.

Una breakeven inflation più elevata riflette in sostan­za il miglioramento delle aspettative di crescita economica da parte degli investitori. Quindi i tassi reali si sono mantenuti costantemente in territorio negativo, su livelli storicamente bassi. Dai minimi di inizio anno a -1,12 % siamo oggi praticamente invariati al -1,05%.

In tutto questo il mercato azionario sembra disin­teressarsi del movimento in atto sulla parte lunga della curva americana. Il rialzo dei rendimenti è percepito finora come un rientro fisiologico degli eccessi della fase precedente. Il movimento a cui abbiamo assistito, è avvenuto fino ad ora in modo composto, senza che ci fosse un aumento improv­viso della volatilità. La storia insegna che l’azionario non subisce necessariamente gli effetti di una curva più ripida, ma tende a reagire negativamente nel caso di strappi repentini. Non dobbiamo dimenti­care però che, ove si realizzasse una crescita dei rendimenti significativa, questo alla lunga potreb­be determinare una riduzione tale del premio al rischio da rendere meno scontata e appetibile la scelta azionaria. In sintesi due saranno le sfide dei prossimi mesi, fra loro antitetiche: da un lato evitare che le economie si avvitino su se stesse, dall’altro prevenire eventuali surriscaldamenti.