2020: un anno sotto la lente dei buyback per mano dei dirigenti

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Prestiamo un’attenzione particolare al comportamento dei dirigenti delle società in cui investiamo, soprattutto quando si tratta di operazioni di capitale, in quanto godono di una posizione privilegiata per valorizzare correttamente le loro aziende e cogliere sia i progressi interni che le tendenze dei mercati sottostanti. Per questo motivo studiamo con attenzione le principali operazioni di consolidamento.

Iliad, l’ultimo esempio

Iliad, capogruppo dell’operatore francese di telecomunicazioni Free, offre uno degli esempi più eclatanti. Questo titolo, che deteniamo da più di tre anni, nel 2018-2019 ha vissuto un’evoluzione movimentata in borsa, soprattutto a causa della violenta guerra dei prezzi avviata da SFR mentre trasformava il proprio modello di business da operatore virtuale a operatore di infrastrutture proprie.

È interessante notare che Xavier Niel, il principale azionista fra i dirigenti della società, ha approfittato della valutazione molto bassa di fine 2019-inizio 2020 per rafforzare massicciamente la sua quota di capitale lanciando un’operazione che gli ha consentito di rastrellare il 20% del capitale e il 40% del flottante. È stato un segnale particolarmente sospetto, non tanto per la dimensione della posizione quanto, soprattutto, perché questo movimento coincideva con due tendenze che iniziavamo a identificare: una normalizzazione del livello di competitività, con prezzi che iniziavano a risalire; sforzi interni sulla politica commerciale del gruppo, di cui si iniziavano a percepire gli effetti.

Pensiamo che siano questi due segnali, uniti alla bassa valutazione del titolo, ad aver spinto Xavier Niel a lanciare questa operazione. L’ottimismo del management di allora ha peraltro trovato conferma negli ottimi risultati che hanno permesso al titolo di apprezzarsi notevolmente nel 2020.

Gli acquisti in chiave opportunistica durante lo stallo dovuto al Covid

L’anno appena terminato è stato particolarmente turbolento per i riflessi della crisi del Covid-19 sull’economia. Durante la forte correzione di borsa del marzo 2020, abbiamo riscontrato un movimento ribassista, a prima vista alquanto omogeneo e indifferenziato. In tale cornice, abbiamo osservato un livello abbastanza importante di acquisti su alcune società. Certi addetti ai lavori hanno infatti ritenuto che i livelli di valutazione indotti dalla correzione del mercato azionario fossero eccessivamente penalizzati rispetto al reale impatto della crisi sulla sottostante attività delle aziende.

Gli esempi non sono mancati, a iniziare da SAF-Holland, produttore di attrezzature per veicoli pesanti quotato in Germania di cui siamo azionisti dal secondo semestre del 2020. Dall’inizio del 2019 alla metà del 2020, la società ha subito un progressivo ricambio di tutto il management che ha segnato una rottura rispetto ai bilanci mediocri dei predecessori. La crisi-Covid ha fatto precipitare la quotazione di borsa a livelli bassissimi (intorno a 3,5 € rispetto ai 12 € attuali). Eppure il management ha operato massicci acquisti di azioni durante i minimi di marzo/aprile, ed il CEO, in particolare.

Come spiegare questo livello di fiducia se non con il basso livello di valorizzazione? Pensiamo che il management fosse ottimamente posizionato per cogliere due elementi di svolta: il programma di ristrutturazione avviato in precedenza stava cominciando a dare i suoi frutti, migliorando la tenuta della società in caso di shock; la liquidità dell’azienda non era a rischio, a seguito dello smaltimento delle scorte.

Le ondate di OPA opportunistiche lanciate dai dirigenti fondatori

In estate abbiamo assistito ad un certo numero di operazioni di capitale, che definiremmo opportunistiche, da parte di azionisti di maggioranza o dirigenti fondatori sostenuti da fondi di private equity. Le valorizzazioni ragionevoli se non addirittura molto basse di alcune società hanno infatti solleticato il desiderio di realizzare acquisizioni più strutturate, che hanno preso la forma di offerte pubbliche di acquisto o di offerte pubbliche. Alcuni dei dirigenti fondatori potrebbero aver visto la crisi attuale come un’opportunità storica per rafforzare la loro posizione attraverso sostanziali acquisti di azioni.

Gli habitué dei buyback che continuano su questa linea

Da tempo deteniamo i titoli della galassia Bolloré (Odet-Bolloré-Vivendi) su cui nutriamo forti convinzioni, in parte per il valore della partecipazione di Vivendi in Universal Music Group (che controlla un terzo della musica registrata nel mondo). Il valore di questo asset non cessa di aumentare da quando l’industria musicale ha trovato un modello di business sostenibile di monetizzazione attraverso piattaforme di streaming come Deezer o Spotify. Da marzo 2020 abbiamo osservato acquisti significativi di Financière de l’Odet (società quotata che controlla Bolloré Investissements) da parte della sua holding principale Sofibol. Tra marzo e maggio Sofibol ha acquisito il 5% del flottante. Più insolitamente, da agosto la famiglia Bolloré ha iniziato a rastrellare direttamente azioni Financière de l’Odet, arrivando nel 2020 ad acquisire la proprietà del 12,5% del flottante!

Abbiamo interpretato quest’azione come preludio di movimentazioni interne alla galassia Odet-Bolloré-Vivendi. Ad esempio, Vivendi ha recentemente annunciato lo scorporo di Universal (di cui Bolloré Investments diventerà azionista diretto) e riteniamo possibile che il titolo Odet esca dai listini, visto il suo flottante sempre più ridotto (7,5% del capitale).

Movimento opposto oltreoceano, con poche eccezioni

Oltreoceano, anche se il periodo di marzo/aprile è stato favorevole alle acquisizioni interne, negli ultimi due anni riscontriamo livelli di cessioni superiori a quelle del boom del mercato azionario del 2000. Il dato è ancora più sorprendente quando si guarda alle aziende tecnologiche del Nasdaq, che in maggior parte sono attualmente scambiate a multipli insolitamente elevati. Al momento nutriamo una certa diffidenza al riguardo. Infatti, l’unica azienda del Nasdaq che siamo riusciti a inserire in portafoglio è Upwork, il marketplace leader mondiale per i lavoratori freelance che nel 2020 è stata una delle poche aziende tecnologiche statunitensi a veder prevalere gli acquisti sulle cessioni interne. Inoltre, l’accelerazione della crescita dovuta al Covid, unita alle iniziative del nuovo management, ha permesso alla società di far risalire il suo prezzo a fine anno.

Le vendite e cessioni di dirigenti, meno istruttive dei buyout?

Potremmo chiederci se, viceversa, avremmo dovuto considerare il segnale derivante dalle vendite da parte dei dirigenti. La risposta è meno ovvia, in quanto questi possono decidere di alleggerire la loro posizione per diverse ragioni:  approfittare di un eccesso di ottimismo del mercato per ridurre la propria esposizione, ma potrebbe anche avere altre motivazioni ugualmente plausibili, come la monetizzazione di parte del rischio imprenditoriale. Va da sé che i dirigenti-fondatori investono spesso una quota importante della loro ricchezza nell’azienda, ed è naturale che vogliano monetizzare parte del rischio imprenditoriale. È anche comune osservare dirigenti che vendono azioni in seguito all’esercizio di stock option. In sintesi, crediamo che il valore predittivo delle cessioni non sia sempre evidente. Al contrario, un rafforzamento delle posizioni dei dirigenti deriva spesso da una sola ragione: la percezione che la valutazione attuale non rifletta i fondamentali dell’azienda. Spesso, sono loro a saperlo meglio di tutti.