Chi ascoltare sull’occupazione USA, Jerome Powell o Janet Yellen?

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Lo stato di salute del mercato del lavoro, parte integrante ormai del mandato della Fed e componente fondamentale delle prospettive economiche, riveste da alcuni mesi un’importanza cruciale negli Stati Uniti. In diverse occasioni, Jerome Powell ha infatti ribadito che la banca centrale avrebbe mantenuto una politica monetaria accomodante fino a quando il mercato del lavoro statunitense non avesse mostrato segnali tangibili di miglioramento. Ha pure chiarito, di recente, che l’obiettivo della Fed è nientemeno che la piena occupazione. Da qui, l’importanza assunta dal report sull’occupazione americana pubblicato il 2 aprile.

Tanto più importante alla luce della divergenza di vedute sul calendario della normalizzazione dell’occupazione statunitense che ha opposto, nel corso di un intervento congiunto il 23 marzo, il presidente della Fed e il suo predecessore, Janet Yellen, ora Segretario del Tesoro. Mentre Jerome Powell, così come alcuni membri della Fed, non hanno smesso di ricordare che ci vorrà del tempo, la signora Yellen riteneva, dal canto suo, che gli Stati Uniti potrebbero ritornare alla piena occupazione già dall’anno prossimo. I mercati si sono quindi dimostrati prudenti e particolarmente attenti a qualsiasi elemento foriero di una futura stretta monetaria.

A prima vista, i dati pubblicati all’inizio di aprile dal Bureau of Labor Statistics (BLS) sembrerebbero dare ragione alla Yellen. Le aspettative, già di per sé alte (660.000), sono state letteralmente polverizzate con la creazione di 916.000 posti di lavoro cui se ne aggiungono altri 90.000 nuovi circa a seguito della revisione dei dati del mese precedente. Ad eccezione dei mesi da maggio ad agosto 2020, che corrispondono alla riapertura dell’economia statunitense, questo è il mese con la maggiore creazione di posti di lavoro dal 1983. Il tasso di disoccupazione è così sceso al 6,0% rispetto al 6,2% di febbraio. Continua indubbiamente a migliorare, e anche a un ritmo sostenuto, la situazione dell’occupazione negli Stati Uniti. Quanto basta per condividere le parole di Janet Yellen? Probabilmente no.

Questi dati, relativi a un numero significativo di posti di lavoro creati, vanno però letti tenendo conto del tasso di partecipazione (la forza lavoro rispetto alla popolazione totale in età lavorativa) che ha registrato un aumento moderato nel corso del mese (+0,1%) e rimane, al 61,5%, ben al di sotto dei livelli pre-crisi (63,4%). In altre parole, non osserviamo per ora un ritorno massiccio sul mercato del lavoro dei 5 milioni di lavoratori americani che ne sono usciti durante la crisi dell’anno scorso. Nel suo attento monitoraggio J. Powell ritiene tuttavia che questi lavoratori debbano essere aggiunti al numero complessivo di disoccupati per avere un quadro reale dell’impatto della crisi. Sulla base di questa analisi, il tasso di disoccupazione statunitense rimane nettamente superiore, attestato all’8%, e ben lungi quindi da quel dato inferiore al 5% che potrebbe qualificare una “piena occupazione”.

Inoltre, le misure aggiuntive descritte da Powell e che gli fanno da quadro di riferimento per l’occupazione, quali il tasso di partecipazione dei diplomati – non in possesso di una laurea – o il tasso di disoccupazione delle popolazioni afro-americane, non sembrano registrare una chiara accelerazione rispetto ai dati complessivi della popolazione. Ci verrebbe da dire che siamo in una situazione di pareggio nella partita Yellen contro Powell.

Più concretamente, questi dati non aumentano realmente il rischio che la Fed riduca il suo sostegno monetario prima del previsto. Puntano invece su una continua e forte ripresa economica, su una pressione al rialzo sui tassi d’interesse e su una sovraperformance dei titoli growth e value più sensibili al ciclo economico.