Lo scontro continua

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Di recente, molti europei potrebbero essere rimasti delusi nel constatare che Joe Biden non è esattamente il presidente degli Stati Uniti che tutti si aspettavano con entusiasmo solo qualche mese fa. Ovvero il salvatore che non solo unifica un paese diviso ma che riappacifica il mondo intero, risolvendo tutti i conflitti. Questa aspettativa, perdonate il giudizio severo, era ed è purtroppo ingenua e nasce dalla supposizione “avventata” che i governi non agiscono mai in un’ottica di politica del potere. Solamente perché i politici europei o almeno molti di loro, sembrano aver dimenticato tale ottica, non significa che questo debba valere anche per i rappresentanti di altre nazioni.

Di certo non per gli americani e nemmeno per i cinesi. Lo ha dimostrato lo scontro diplomatico aperto tra gli alti vertici di entrambe le parti in occasione del summit di Anchorage, in Alaska. Si potrebbe dire quindi che per il mondo sembra essere piuttosto irrilevante chi siede alla Casa Bianca, se Biden, Trump o qualcun altro. Il nuovo governo può anche cambiarle nome, ma la dottrina rimane la stessa: “America First”!

Biden promotore di interessi preponderanti

All’apparenza Biden può sembrare una persona molto più colta, affidabile e conciliante. In fin dei conti anche lui persegue per il paese interessi tangibili bipartisan, riassumibili nel rimanere una potenza mondiale e tenere la Cina a distanza – a qualunque costo (o quasi). Ecco perché lo scambio di accuse in Alaska non dovrebbe stupire: è stata semplicemente l’ennesima espressione di un conflitto che accompagnerà il mondo ancora per un po’.

Cosa c’entra tutto questo con gli interessi degli investitori, considerando che noi invitiamo sempre a non sopravvalutare le questioni politiche?

Sì, è vero, ma “solo” 9 volte su 10, come sottolineiamo spesso. Ci sono infatti questioni prettamente politiche che a lungo andare, sono rilevanti anche per gli investitori, come la corsa allo status di potenza mondiale con tutti i suoi annessi e connessi. La domanda è: quale dei due concorrenti ha stilato il piano più efficace – la Cina o gli Stati Uniti? Per come è stata e viene gestita, la pandemia di coronavirus offre un quadro lampante dei due blocchi di potere. Il conflitto in atto infatti, non è solo una disputa economica, ma anche una competizione tra due sistemi politici e culturali.

Il piano astuto della Cina

La Cina è riuscita a contenere rapidamente il Covid-19, in particolare attraverso restrizioni massicce, ma applicate con costanza sin dall’inizio della pandemia. I cinesi hanno tollerato e assecondato i dettami di Pechino (avevano altra scelta?). Il sistema monopartitico è un vantaggio competitivo? Per quanto poco auspicabile, sembrerebbe proprio così.

In ogni caso, il piano della Cina di ergersi a paese da cui dipende il resto del mondo è molto astuto. Pechino si sta proponendo e affermando come un partner commerciale affidabile – fedele al motto: “I miei interessi sono anche i tuoi”. In fin dei conti, per il governo è meglio prevenire che curare. In un’ottica di lungo termine, una fitta rete di relazioni commerciali priva gli avversari dell’arma delle sanzioni, che colpirebbero sia il colosso asiatico, che tutti i suoi partner in affari. Sarebbe un po’ come tirarsi la zappa sui piedi. In sostanza, sarebbe molto difficile vincere una “guerra fredda” economica contro la Cina.

Dal canto loro, gli Stati Uniti sono stati considerati per diverso tempo dei chiari “perdenti” della pandemia, visto che Trump ha sempre avuto un atteggiamento negazionista riguardo al virus, salvo per il fatto che provenisse dalla Cina. Biden al contrario ha fatto della lotta al Covid-19 la massima priorità del suo ancora giovane governo. Il suo strumento più importante per sostenere l’economia nazionale: i soldi! Tanti soldi, per rinnovare e costruire infrastrutture e recuperare punti nella competizione con la Cina, rafforzando così la “posizione degli USA”. In altre parole, gli Stati Uniti stanno cercando di preservare il loro status di potenza mondiale non tanto con alleanze strategiche, ma soprattutto accumulando debiti.

Abbiamo calcolato gli aiuti e i sussidi concessi pro-capite dal governo americano nelle ultime settimane e mesi. Finora il totale ammonta a 30.000 dollari di nuovi debiti per ogni lavoratore americano per ammortizzare l’impatto del coronavirus. Una cifra dissennata, soprattutto se confrontata col reddito medio pro-capite, che negli Stati Uniti è di circa 50.000 dollari l’anno.

Ed è qui al più tardi che si solleva una questione molto importante per gli investitori, ossia il finanziamento a lungo termine del debito, che sarà molto più massiccio di quanto già non fosse, una volta superato il coronavirus. Chi pagherà tutti questi aiuti e incentivi?

I tassi d’interesse toneranno ad aumentare o no?

Quindi i tassi torneranno ad aumentare? Alla fine, chi rimane sono ancora una volta le banche centrali. Pacchetti così generosi non sarebbero possibili senza i bassi tassi d’interesse. È bene dunque non sopravvalutare l’aumento dei rendimenti obbligazionari osservato di recente negli Stati Uniti e anche in altre parti del mondo. Esso è alimentato dal crescente ottimismo sulle prospettive economiche e dalle aspettative inflazionistiche che lo accompagnano. A nostro parere l’aumento dei tassi d’interesse, di cui si discuteva diversi anni fa e che non si è mai concretizzato, non ci sarà nemmeno questa volta, nonostante le rinnovate preoccupazioni al riguardo. Il che non esclude un possibile rialzo temporaneo dei rendimenti obbligazionari che anzi ci sarà ripetutamente, ma a nostro avviso non sarà né potrà mai essere duraturo.