Inflazione: attenzione a prezzi degli alloggi, salari e pressione sui prezzi a monte del ciclo produttivo

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L’inflazione USA ha registrato una nuova accelerazione a giugno e superato le aspettative del consensus. Con una variazione annuale del 4,5% l’inflazione di fondo, ad esclusione quindi dei prodotti alimentari e dell’energia, si è attestata ai massimi dal 1991. Ancor più sorprendente è la variazione mensile dello 0,9%, il secondo rialzo più significativo registrato dall’inizio degli anni ’80, di poco inferiore al record dello scorso aprile. Infine, con una crescita del 2,2% a giugno, i prezzi dei beni di consumo registrano un’impennata storica. Nonostante questi dati, nella sua audizione in Congresso, Jerome Powell si è mostrato molto fiducioso circa il carattere transitorio di questo rialzo dei prezzi e il mantenimento dei tassi a lungo termine sotto i picchi raggiunti nel primo trimestre.

I mercati dei tassi e i banchieri centrali stanno quindi dimostrando lucidità riguardo a un’accelerazione temporanea dei prezzi? O sta invece insediandosi una forma di negazione mentre si moltiplicano i dati che indicano pressioni inflazionistiche crescenti?

È innegabile, a breve termine, che il dettaglio dei dati deponga a favore della tesi di un fenomeno transitorio. Dopo aver rappresentato più del 37% dell’aumento mensile dell’inflazione di base in aprile e maggio, il segmento dei prezzi delle auto usate ha contribuito da solo, per il 47,5%, all’aumento di giugno. Le ragioni di questa impennata sono note – la carenza di semiconduttori sta provocando un forte calo nella produzione di veicoli nuovi – e sono incontestabilmente conseguenti a uno squilibrio tra domanda e offerta legato alla riapertura delle economie. Del resto, i leading indicator come l’indice Manheim dei prezzi delle auto usate mostrano gli inizi di un’inflessione e suggeriscono che un picco sta per essere raggiunto. Potremmo fare un’analisi identica su altri segmenti che hanno particolarmente contribuito all’aumento dei prezzi a giugno, come i biglietti aerei.

Di contro, altri elementi potrebbero subentrare a questi fenomeni temporanei e alimentare un regime d’inflazione strutturalmente più elevato. Gli alloggi continuano a ricoprire un ruolo centrale. Il forte aumento dei prezzi delle transazioni immobiliari documentato dalla Federal Housing Finance Agency (FHFA) o dall’agenzia di mutui Freddie Mac non si riflette ancora nella componente immobiliare dei calcoli ufficiali dell’inflazione per via, tra l’altro, della moratoria sugli aumenti degli affitti… che giungerà a scadenza il 31 luglio. Potrebbe quindi esercitare un effetto significativo nei prossimi mesi, a maggior ragione se consideriamo che questo segmento rappresenta il 40% quasi del paniere dell’inflazione sottostante.

Un secondo punto di attenzione riguarda i salari. Gli ultimi dati pubblicati dalla Fed di Atlanta, che Jerome Powell ha esaminato molto attentamente, mostrano un aumento significativo dei salari più bassi. Inoltre, il numero record di posti di lavoro creati e la forte fiducia delle famiglie nelle abbondanti offerte di posti di lavoro stanno a indicare una situazione in cui la leva negoziale, in particolare sui salari iniziali, sta diventando più favorevole per i dipendenti, anche se questo fenomeno potrebbe essere mitigato dalla fine imminente dei sussidi di disoccupazione.

Dovremmo anche tener conto dei vari annunci di massicci aumenti salariali in alcune grandi aziende americane. Giovedì scorso, il gigante della gestione patrimoniale BlackRock ha annunciato un aumento dell’8% per tutti i suoi dipendenti.

L’ultimo punto di attenzione è riferito alla pressione che si mantiene forte sui prezzi a monte del ciclo produttivo, come quelli della produzione e del trasporto marittimo, e potrebbe alimentare un aumento dei prezzi al consumo in più segmenti.

Alla luce di questi elementi, non sembra ragionevole escludere la possibilità che l’effetto congiunto prezzi-salari finisca per ancorare l’inflazione USA a un livello più alto su base permanente. Non sarebbe, di per sé, un fatto negativo in quanto rifletterebbe una maggiore solidità dell’economia statunitense, unita a un livello di inflazione che potrebbe ridurre più rapidamente il peso del debito. Ne deriverebbero, invece, delle misure monetarie più restrittive di quelle attese dai mercati, che sono molto compiacenti in materia. Per giunta, dati gli attuali livelli di valutazione, anche gli asset a rischio potrebbero subire un rallentamento. Visto, tuttavia, che il contesto economico globale rimarrebbe molto favorevole all’attività delle aziende, una correzione rappresenterebbe probabilmente una salutare boccata d’ossigeno che difficilmente metterebbe in discussione le prospettive a medio/lungo termine sui mercati azionari.