Impennata dei prezzi energetici. L’autunno è arrivato e non semplifica le cose

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La ripresa continua a essere rallentata dai problemi nelle catene di distribuzione. Il più recente riguarda l’impennata dei prezzi dell’energia. Il prezzo di un barile di petrolio è raddoppiato nel corso dell’ultimo anno. Oggi il prezzo a pronti del Brent è di poco inferiore agli 80 dollari al barile, il prezzo del gas naturale sui mercati europei è quintuplicato nel corso dell’ultimo anno e il prezzo del carbone è salito del 100% da settembre 2020. L’aumento dei prezzi alimenta le preoccupazioni inflazionistiche ed è una delle cause principali del recente incremento dei breakeven nel mercato obbligazionario. Non è auspicabile che i prezzi dell’energia continuino a salire in concomitanza con il rialzo dei tassi di interesse. Inoltre il rapporto tra crescita reale e inflazione è già sceso, e storicamente questo non è mai stato un segnale positivo per i mercati azionari.

Prezzi e transizione energetica

C’è il rischio che i prezzi dell’energia restino elevati anche al di là degli effetti a più breve termine correlati alla pandemia. Il passaggio a un’economia a bassa intensità di carbonio riguarda importanti tendenze strutturali. La domanda di energia rinnovabile per generare elettricità e in altri processi industriali è in aumento. Queste fonti stanno sostituendo gradualmente i carburanti fossili, nonostante la domanda di petrolio sia ancora in ascesa. Sul fronte dell’offerta, gli investitori iniziano a disinvestire dai produttori di gas e petrolio per finanziare tecnologie e investimenti nel campo delle rinnovabili. Le energie rinnovabili, tuttavia, non sono ancora sufficienti per diventare la fonte principale di energia, pertanto le pressioni degli investitori, politiche ed economiche nel lungo periodo stanno gravando sulla capacità dei carburanti fossili su scala globale. L’attuale aumento dei prezzi dell’energia potrebbe essere correlato a fattori a breve termine ma, concettualmente, è facile comprendere perché anche la transizione energetica possa far salire i prezzi. Se le rinnovabili fossero già in grado di sostenere la domanda supplementare, i prezzi non salirebbero.

Bisogna investire di più nelle rinnovabili

Chi sostiene che vanno incrementati gli investimenti e l’uso delle energie rinnovabili dirà che il costo per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili è sceso negli ultimi anni e che in molti casi è più conveniente rispetto ai carburanti fossili. È evidente, e tale tendenza continuerà grazie ai progressi tecnologici, man mano che il costo del capitale per le tecnologie verdi scenderà e il prezzo globale (più elevato) delle emissioni di carbonio si evolverà. Considerato però che la domanda di gas e petrolio continua a salire, le difficoltà sul fronte dell’offerta, sia per le rinnovabili che per le fonti di energia tradizionali, faranno salire i prezzi. Gli investimenti marginali in futuro verranno probabilmente diretti verso le rinnovabili, anziché verso gas e petrolio. Ciò potrebbe determinare un’offerta meno elastica e i prezzi potrebbero reagire bruscamente alle oscillazioni della domanda. La buona notizia è che tali dinamiche dovrebbero accelerare gli investimenti e l’uso delle fonti di energia rinnovabili, che diventeranno (auspicabilmente) più convenienti e meno volatili. A un certo punto, il predominio delle rinnovabili sarà tale che il prezzo del gas e del petrolio non avrà più rilevanza. Ma non siamo ancora a questo punto, pertanto la transizione energetica potrebbe essere caratterizzata dalla volatilità dei prezzi dell’energia. È evidente che dobbiamo investire ancora molto nella capacità, nell’immagazzinamento e nella distribuzione delle rinnovabili.

Per gli investitori attenti ai fattori ESG potrebbe essere quindi il momento di ridurre gli investimenti nei carburanti fossili. Naturalmente ci sono diversi modi per farlo e pochi investitori stanno adottando un approccio radicale relativamente ai carburanti fossili. È comunque assai probabile che gli investitori abbandonino le società che continuano a produrre gas e petrolio trascurando la diversificazione e l’impatto ambientale.

Portafogli: serve prudenza

Le prospettive macroeconomiche sono offuscate dall’impennata dei prezzi dell’energia. Se si tratta di un fenomeno temporaneo, potrebbe essere in linea con la previsione di un rallentamento dell’inflazione nel 2022. La curva dell’inflazione di breakeven negli Stati Uniti è stata negativa da inizio anno, dunque il mercato è ancora convinto che si tratti di un andamento transitorio. Tuttavia, le preoccupazioni più profonde sulle catene di distribuzione ci fanno pensare che i dati economici e la produzione potrebbero manifestare ancora qualche problema nel corso dell’inverno. Dal punto di vista dei mercati azionari, a mio parere, i timori per l’offerta e le ripercussioni sulle previsioni di ricavo e di utile sono un rischio maggiore rispetto a un consistente rialzo degli yield obbligazionari. Le previsioni di consensus per il tasso di crescita degli utili per azione a 12 mesi negli Stati Uniti e in Europa hanno già rallentato e le revisioni degli utili iniziano a invertire la tendenza. I fattori macroeconomici e i fondamentali si sono indeboliti di recente, staremo a vedere se la liquidità sarà sufficiente a sostenere i livelli del mercato.