Inflazione: quanto dobbiamo prendere seriamente la rincorsa dei prezzi?

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Negli ultimi mesi chi abbia fatto la spesa o sia titolare di un’utenza energetica si sarà accorto nelle proprie tasche dell’aumento dei prezzi. In Italia il tasso generale di inflazione è stato stimato dall’Istat al 2,5% a settembre e l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è aumentato dell’1,3% su base mensile e del 2,9% su base annua. Entrambi i dati sono i più alti dal 2013. Al di là del significato delle varie metodologie di misura dell’inflazione (che si differenziano per i beni e i servizi di cui monitorano il prezzo), il dato evidente è che il livello dei prezzi è tornato a correre. Se questa tendenza è evidente in Italia, lo stesso si può dire anche per le economie dove la ripresa economica e gli interventi pubblici a sostegno dell’economia sono stati più decisi, come gli Stati Uniti e il Regno Unito. Negli Stati Uniti l’inflazione generale è al 5,4% e quella core si è attestata sopra il 4,0% e non sembra più diminuire. Ovviamente questi numeri ci interessano non solo perché siamo preoccupati dell’aumento dei prezzi in Italia o altrove, ma per le conseguenze profonde che possono avere sui mercati finanziari e sul prezzo degli asset.

Un fenomeno transitorio?

Come abbiamo avuto modo di spiegare, uno degli aspetti che oggi maggiormente preoccupa gli investitori riguarda le Banche Centrali e la loro capacità di tenere in piedi le misure a sostegno dell’economia anche di fronte a un risveglio dell’inflazione. Quando i banchieri centrali stampano moneta e acquistano titoli di stato si ha un effetto positivo sulla crescita e sulla tenuta finanziaria generale, ma allo stesso tempo ciò stimola la crescita del livello dei prezzi. La Federal Reserve negli ultimi mesi ha parlato di inflazione “transitoria”, dovuta principalmente a cause specifiche e peculiari come la crescita improvvisa della domanda di energia e i problemi legati alla logistica dell’economia post-pandemica. Se questa era la narrativa dominante fino a poche settimane fa, adesso molti si chiedono se le Banche Centrali non abbiano effettivamente sottovalutato la portata del fenomeno. Chiarire questo punto è cruciale e può avere conseguenze importanti sull’andamento dei mercati finanziari nei prossimi mesi.

L’inflazione è più alta del previsto?

Facciamo un passo indietro. I banchieri centrali nei mercati sviluppati, in genere, vogliono un’inflazione di circa il 2% all’anno e utilizzano vari strumenti (in particolare i tassi di interesse) per cercare di raggiungere questo obiettivo. Attualmente l’inflazione è ben al di sopra di questa soglia in economie chiave come gli Stati Uniti e il Regno Unito – in parte a causa di shock della catena di approvvigionamento, in parte a causa della domanda repressa di prodotti specifici. Normalmente ciò indurrebbe i banchieri centrali a inasprire la politica monetaria. Finora hanno in gran parte resistito a farlo e hanno sostenuto che gli attuali livelli di inflazione più alti del normale siano “transitori”. Cosa vuol dire? Il manuale del banchiere centrale sostiene che se l’inflazione aumenta a causa di uno shock all’offerta (ad esempio una grande nave porta container che blocca il Canale di Suez), le autorità di politica monetaria non dovrebbero agire perché anche un aumento dei tassi avrebbe effetti limitati sull’offerta di beni e servizi. Ma (c’è sempre un “ma”) se gli shock dell’offerta diventano così strutturali (colli di bottiglia diffusi nella logistica globale) da iniziare a incorporarsi nelle aspettative di inflazione, i banchieri centrali potrebbero allora cambiare strategia. Questo pensiero è stato ben articolato dal governatore della Banca d’Inghilterra in un discorso la scorsa settimana alla Society of Professional Economists (intitolato “The Hard Yards”). Il discorso è stato seguito con molta attenzione perché avrebbe lasciato degli indizi sul fatto che il Governatore stia architettando una via d’uscita dall’idea “inflazione transitoria”.

In che modo l’inflazione può diventare strutturale?

Uno dei canali è il mercato del lavoro. Ne abbiamo già parlato in precedenza, ma vale la pena ripeterlo. La domanda di lavoro è piuttosto alta in questo momento un po’ ovunque e i datori di lavoro hanno spesso difficoltà a trovare candidati qualificati. Ciò ha portato i salari ad aumentare e una maggiore crescita dei salari è esattamente il tipo di cosa che può essere incorporata nelle aspettative di inflazione e spingere le Banche Centrali ad agire. Un altro aspetto da tenere d’occhio è quello legato al costo delle materie prime: gli investimenti in questo campo sono in rallentamento ma, come hanno notato alcuni analisti, la transizione verde, se si verifica, i) non eliminerà la necessità di combustibili fossili dal giorno alla notte e ii) potrebbe richiedere quantità maggiori di determinate materie prime (es. rame).

Quale è la posizione di Moneyfarm?

Almeno per ora, continuiamo a credere ai banchieri centrali, in quanto pensiamo che l’inflazione si rivelerà “transitoria”. O forse, più precisamente, pensiamo che i banchieri centrali continueranno a sostenere che l’inflazione è transitoria, anche se potrebbero cominciare ad agire per non farla andare fuori controllo. E, cosa forse più importante, che i passi che prenderanno non saranno così drammatici da mettere a rischio la ripresa economica globale.

A margine, ciò probabilmente significa che vedremo la rimozione dello stimolo forse un po’ prima di quanto ci saremmo aspettati un paio di mesi fa.