Il Net Zero è un sogno irrealizzabile senza un’inclusione totale

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La Cop26 è in corso e noi dobbiamo riconoscere un fatto incontrovertibile sulla spinta alle emissioni nette zero. Qualsiasi sforzo che non includa il mondo intero fallirà ovunque. Un percorso che favorisca i mercati sviluppati a scapito degli altri porterà ad uno zero netto parziale, ovvero a nessuno zero netto. Date le nostre radici sudafricane, capiamo questa esigenza forse meglio di molti altri. Troppi Paesi, aziende e investitori (asset manager e asset owner) vedono il raggiungimento di questo obiettivo entro la metà del secolo come una corsa, non unitaria, contro le metriche piuttosto che come una corsa tutti insieme contro il tempo.

Ora è il momento di allineare e accelerare gli sforzi globali per il bene del pianeta. Dobbiamo porre fine alle semplici parole, al greenwashing, agli espedienti di marketing e al “giocare” col sistema. Abbiamo il dovere di raggiungere un accordo pratico su un percorso equo di transizione per tutti i 7,9 miliardi di persone nel mondo, la maggior parte delle quali vive nei mercati emergenti e senza incentivi e sostegno sarà esposta in modo sproporzionato al cambiamento climatico per un lungo tempo ancora, a seconda delle fonti energetiche o delle industrie inquinanti.

La sfida è che molti investitori si concentrano semplicemente sulla riduzione delle proprie emissioni di carbonio dichiarate o sulla riduzione del “carbonio in portafoglio”. Concentrandosi in modo miope sulla “purezza del portafoglio” e selezionando e scegliendo investimenti che li facciano apparire green senza dover davvero sostenere una riduzione del carbonio nel mondo reale, questi investitori non stanno effettuando il tipo di cambiamento necessario per affrontare la crisi climatica. Tutto ciò che stanno facendo è creare “portafogli puliti”. Stanno lasciando ad altri, forse anche a player non virtuosi, il problema di chi inquina in modo pesante. A titolo di esempio, in un tipico portafoglio azionario globale, una riduzione del 50% dell’esposizione ai BRICS più l’Indonesia porterà a una riduzione del 3% dell’intensità di carbonio dichiarata del portafoglio. Il peso di questi Paesi nell’indice è solo dell’8%, un’altra ragione per cui la via del disinvestimento può essere più attraente dell’engagement. Ciò offre agli investitori istituzionali un incentivo a disinvestire ed evitare questi mercati. La nostra esperienza nelle economie emergenti ci dice che è necessario un approccio molto diverso.

Disinvestire è un atto irresponsabile e dimostra semplicemente una mancanza di comprensione o trasparenza riguardo alla crisi climatica. Il disinvestimento non affronta la crisi climatica. Semplicemente la esaspera. Mentre i mercati emergenti sono oggi responsabili di oltre i due terzi delle emissioni globali annuali, i Paesi membri dell’OCSE sono responsabili di tre quinti delle emissioni storiche cumulative. Sette volte di più rispetto al resto del mondo su base pro capite. Ora non è il momento perché i paesi ricchi, i loro investitori, asset owner e istituzioni abbandonino gli altri Paesi. Se dovesse verificarsi davvero un ” buy developed, sell developing “, i mercati emergenti potrebbero soffrire una carenza di capitali per gli investimenti proprio nel momento in cui hanno bisogno di 2,5 trilioni di dollari in più all’anno per finanziare le loro transizioni energetiche.

Dobbiamo concentrarci su piani di transizione a lungo termine coerenti con l’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050 per aziende e Paesi, non su riduzioni nel breve termine. Agli asset owner, dobbiamo chiedere piani di transizione trasparenti. Ciò richiede un pragmatismo paziente piuttosto che una purezza istantanea o un focus sulla “finanza di transizione” invece che sulla “net zero finance”. Inoltre, dobbiamo tenere in debita considerazione il contesto in cui opera ogni Paese, il suo potenziale per contribuire all’ambizione collettiva del mondo verso le emissioni nette zero e il suo specifico percorso di transizione.

Inoltre, gli investitori dovrebbero impegnare capitale per il finanziamento della transizione, sia in allocazioni dedicate sia nel modo in cui misurano e monitorano i progressi rispetto agli obiettivi climatici nei portafogli. Inoltre, gli asset manager devono sviluppare veicoli adeguati con l’integrità e il framework necessari per garantire che gli impegni per la transizione non siano in realtà attività di greenwashing.

È ormai divenuto d’obbligo creare strumenti finanziari che aiutino gli investitori ad allineare i portafogli ad una decarbonizzazione inclusiva e che guardi al mondo reale, ovvero strumenti che convoglino il capitale verso aziende e progetti in grado di allineare l’economia globale all’obiettivo della carbon neutrality e che consentano alle nazioni più povere di partecipare alla transizione verso le emissioni nette zero.

Dove concentrare l’impegno: l’elettricità

Molti mercati emergenti, tra cui India, Sud Africa e Indonesia, fanno ancora molto affidamento sul carbone per la produzione di elettricità, con i combustibili fossili che rappresentano il 25-40% delle emissioni totali di carbonio. I trasporti rappresentano un ulteriore 9-18%. Dato che i veicoli elettrici hanno bisogno di una rete di energia pulita per concretizzare i loro vantaggi, tagliando le emissioni derivanti dalla produzione di elettricità è possibile contrastare il 40-50% delle emissioni totali in molti mercati emergenti.

È necessario sviluppare quattro flussi di finanziamento principali per arrivare a una produzione pulita di elettricità nei Paesi in via di sviluppo:

  1. I capitali disponibili devono essere aumentati per sostenere la diffusione delle energie rinnovabili;
  2. Investimenti considerevoli devono essere indirizzati all’espansione delle infrastrutture di trasmissione;
  3. Incentivi per le utilities pubbliche per accelerare la chiusura degli impianti ad alta emissione;
  4. Finanziamenti per una transizione equa per i dipendenti e le comunità per i quali la fine della dipendenza dai combustibili fossili rappresenterebbe anche un rischio.

Il settore privato deve guidare la prima fase della transizione e fornire finanziamenti green su larga scala. Per i governi, i decisori politici e gli investitori, questa è la strada più lunga da intraprendere. È anche la strada giusta. Con una transizione equa e inclusiva, è il mondo intero a vincere.