Cartellino rosso per la Cina

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Tutto è iniziato, poco prima dell’entrata in borsa della società fintech Ant Group, una ex divisione aziendale della piattaforma online Alibaba (che ne possiede tuttora una quota del 33%). La quotazione era pianificata sui mercati di Shanghai e Hong Kong. Sarebbe stato il più grande debutto borsistico mondiale della storia e sarebbe valso all’azienda una capitalizzazione di mercato equivalente a oltre 300 miliardi di dollari US. Tuttavia, dopo le critiche mosse dal fondatore di Alibaba, Jack Ma, verso la regolamentazione troppo rigida del settore fintech in Cina, l’operazione è stata annullata per ordine del governo.

L’attività di Ant Group è stata drasticamente limitata e la società ha dovuto avviare un enorme programma di ristrutturazione. A stretto giro sono poi seguite nuove regole per le piattaforme online, in particolare nel settore dell’e-commerce, finalizzate a impedire alle aziende dominanti di abusare della loro posizione di potere. A finire nel mirino sono state poi l‘app di trasporti cinese Didi, in occasione della sua quotazione alla borsa di New York, il settore dell’istruzione e, infine, il settore dei videogiochi online, con la decisione di limitare il tempo delle partite a tre ore la settimana tramite un sistema di riconoscimento facciale.

A suscitare profonda incertezza tra gli investitori però sono la poca trasparenza dei processi in Cina, la velocità di implementazione delle nuove regole e la mancanza della possibilità per le aziende interessate di ricorrere ad azioni legali. Come investitori di lungo periodo, ci concentriamo su società di ottima qualità, che per noi si esprime in solidità e prevedibilità dei ricavi futuri. La crescita economica superiore alla media e il dinamismo del settore tecnologico cinese creano basi solide per una forte espansione, che a sua volta esercita un impatto positivo su quello che, a nostro avviso, sarà un buon andamento degli utili delle aziende ben posizionate. È questo secondo noi il caposaldo del mercato tecnologico. Al contempo però, gli esempi precedenti dimostrano come la mancanza di limiti giuridici all’ingerenza del governo possa compromettere in misura significativa la prevedibilità dei rendimenti.

Ciò però non implica che il governo cinese debba per forza agire in modo completamente arbitrario. Lo scorso anno, i due colossi tecnologici del paese, Tencent e Alibaba, hanno investito oltre 18 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, concentrandosi in particolare su ambiti come l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico o la tecnologia cloud. In questo modo stanno promuovendo aree particolarmente importanti per il governo nazionale, impegnato in una gara contro gli Stati Uniti per aggiudicarsi la leadership tecnologica globale. Ecco perché ci sono buone ragioni per credere che la Cina non imporrà alle sue aziende tecnologiche una regolamentazione tale da comprometterne per sempre il potere innovativo. È comunque evidente che le grandi piattaforme online cinesi non possono limitarsi a convertire il loro predominio in profitti a breve termine da distribuire agli azionisti: per restare allineate agli interessi del governo devono continuare a investire molto tempo e denaro nello sviluppo di nuove idee e tecnologie. Si potrebbe dire che sono “condannate” a restare innovative per sempre.

Dal canto suo, il governo cinese sa bene che l’innovazione non si ottiene con la forza. Se il Partito dovesse esagerare con gli interventi nel settore privato frenerebbe la propensione agli investimenti nel paese e potrebbe anche provocare una fuga di cervelli nel medio e lungo termine. A quel punto anche gli investitori internazionali finirebbero per voltare le spalle alla Cina.

In passato, Pechino ha sempre cercato di mantenere un equilibrio tra il controllo statale e le opportunità di sviluppo delle imprese private. Oggi non ne siamo più così certi.

Aumenta il premio al rischio

Ciononostante siamo ancora dell’idea che la Cina riuscirà a mantenere il paradosso di una dittatura politica da un lato e delle libertà imprenditoriali come motore della prosperità dall’altro. Se però il paese dovesse scivolare in un altro periodo buio, in cui lo spirito imprenditoriale è gravemente ostacolato, a farne le spese non sarebbe solo il mercato azionario cinese. Questo “tail risk”, cioè un rischio estremo connesso a eventi rari, avrebbe un impatto significativo sull’intera economia globale.

Calcoliamo un premio al rischio maggiore per le aziende che operano in Cina rispetto a quelle che svolgono la maggior parte della loro attività, ad esempio, in Germania o negli Stati Uniti. A nostro avviso la quota di società cinesi nei nostri portafogli a orientamento globale non dovrebbe essere troppo elevata, così da limitare i danni dovuti a eventuali misure normative imprevedibili.

Riteniamo indispensabile per gli investitori considerare il rischio Cina in modo olistico, cioè a livello di portafoglio. Data l’importanza della Cina per il resto del mondo, una “glaciazione” della sua economia colpirebbe molte aziende attive a livello globale – dalle case automobilistiche all’industria manifatturiera, ai produttori di materie prime. Non sarà possibile evitare completamente questo rischio in portafoglio. Ecco perché cerchiamo di assumere in modo mirato rischi che riteniamo adeguatamente remunerati dal mercato. Per farlo, monitoriamo attentamente ogni sviluppo, tenendo sempre bene a mente il rischio complessivo a livello di portafoglio.