Considerazioni globali sull’inflazione per il 2022 (Giappone)

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Giappone: l’inflazione sorgerà con il sole?

Il defunto economista Simon Kuznets, vincitore del Premio Nobel, una volta disse che esistono “quattro tipi di paesi nel mondo: sviluppati, non sviluppati, Argentina e Giappone”. Sarà stata forse una battuta, ma questi due paesi continuano a disorientare.

Nonostante gli sforzi delle autorità, l’Argentina rimane impantanata in un’iperinflazione cronica, mentre il Giappone è ancora alle prese con un’inflazione ostinatamente bassa che ne fa un caso anomalo in un contesto di spinte inflazionistiche record. Questi sono forse due esempi estremi, ma ci ricordano nondimeno che i livelli d’inflazione nelle diverse nazioni presentano ancora oggi un’ampia dispersione. Pertanto, gli investitori che intendono assumere esposizioni tattiche mirate a specifici paesi nell’ambito della propria asset allocation globale farebbero bene ad esaminare queste forze macroeconomiche.

In questo primo contributo di una serie di prospettive specifiche per paese, presentiamo i nostri punti di vista sui driver inflazionistici e su fattori quali le risposte politiche, il mercato del lavoro e la crescita dei salari, il pricing power e l’esposizione settoriale per aiutare gli investitori a capire la possibile evoluzione futura dei rendimenti.

Ampia dispersione dei rendimenti

Quando si considera l’allocazione del portafoglio, è importante tenere a mente l’elevata dispersione dei rendimenti tra le diverse economie. Dato che la performance a livello nazionale è determinata da un’ampia gamma di fattori, disaggregare l’esposizione internazionale tramite exchange-traded fund (ETF) su singoli paesi può essere un approccio interessante. Per prima cosa, consideriamo il recente scollamento tra le performance azionari regionali. La differenza tra i rendimenti degli indici di riferimento replicati dai nostri ETF nazionali passivi con la migliore e la peggiore performance nel 2021 ha superato il 50% (in USD).

Sostenuto dai guadagni del settore finanziario, il mercato dell’Arabia Saudita si è distinto in positivo, offrendo un rendimento superiore al 36% nel corso dell’anno. Cina, Giappone, Corea del Sud e Taiwan sono tutti importanti centri manifatturieri asiatici interessati dai recenti problemi delle filiere produttive, ma l’anno scorso i loro mercati hanno archiviato performance molto diverse. I titoli azionari cinesi, penalizzati da cambiamenti significativi delle politiche pubbliche, hanno ceduto più del 21% durante l’anno, mentre quelli taiwanesi hanno guadagnato oltre il 27%. Le borse giapponesi sono rimaste sostanzialmente piatte e i mercati sudcoreani, che nel 2020 hanno avuto un anno eccezionale, hanno chiuso il 2021 in lieve calo. Due anni fa il FTSE South Korea RIC Capped Net Tax Index ha infatti sovraperformato non solo la regione asiatica, ma la maggior parte dei mercati mondiali sviluppati ed emergenti, chiudendo il 2020 in rialzo di oltre il 40%. Data la varietà di contesti macroeconomici, gli investitori che desiderano rafforzare la loro esposizione internazionale farebbero bene a considerare un’allocazione mirata per singolo paese in modo da cogliere guadagni potenzialmente più elevati. Pressoché tutto il pianeta è stato investito da un ritorno dell’inflazione, diventata prevalente quasi come il coronavirus stesso, ma non tutte le nazioni si stanno affrettando ad attuare un ciclo di inasprimento. Un’analisi delle pressioni inflazionistiche pre e post-COVID-19 rivela che negli ultimi tre mesi del 2021 la maggior parte dei paesi sviluppati membri dell’OCSE ha registrato un aumento dell’inflazione di quasi il 3% rispetto al quarto trimestre 2019, prima della pandemia. In poche economie, tuttavia, l’inflazione si è dimostrata così fastidiosa come in Brasile, dove i problemi sono aggravati dalla peggiore siccità degli ultimi decenni.

La banca centrale brasiliana ha segnalato un ciclo di inasprimento comprensibilmente aggressivo per cercare di arginare un’inflazione che ha superato il 10%. In questo panorama si distingue anche la Bank of England, che ha fatto da battistrada a metà dicembre, diventando la prima grande banca centrale del mondo a innalzare i tassi d’interesse dall’inizio della pandemia.

Anche la US Federal Reserve Bank (Fed) sta cercando di tenere sotto controllo l’inflazione, valutando la possibilità di ridurre gli acquisti di obbligazioni per poi aumentare i tassi d’interesse per la prima volta dal 2018. Al contempo, sul versante opposto dello spettro, le autorità cinesi stanno cercando di sgonfiare la bolla immobiliare, mentre la banca centrale giapponese, dall’orientamento particolarmente accomodante, si astiene al momento da qualsivoglia stretta monetaria. Quest’anno i mercati dovrebbero continuare a farsi strada verso una ripresa generalizzata, seppur disomogenea tra le diverse regioni e irregolare. Di conseguenza, la capacità di assumere un’esposizione mirata con strategie su singoli paesi diventa a nostro avviso ancora più impellente.

Focus sul Giappone

L’inflazione in Giappone rimane sottotono e la Bank of Japan (BoJ) dovrebbe mantenere una politica monetaria estremamente accomodante per il decimo anno consecutivo. Per l’anno fiscale che termina nel marzo 2022 la banca centrale prevede un livello generale dei prezzi invariato, e l’inflazione giapponese dovrebbe restare inferiore all’obiettivo del 2% nel breve periodo. Mentre le misure di sostegno al reddito rivolte a tutti i residenti in primavera non hanno inciso minimamente sull’inflazione, il primo ministro Fumio Kishida gode di un alto indice di gradimento e ha promesso misure audaci per portare il paese verso la neutralità climatica, ridurre i divari di reddito e digitalizzare l’economia. Questi provvedimenti, specialmente quelli mirati a una maggiore digitalizzazione, potrebbero ripercuotersi favorevolmente sul settore informatico giapponese, che presenta una delle maggiori ponderazioni nell’indice FTSE Japan Capped.

Nel complesso il 2022 sembra promettente per le azioni giapponesi, considerando il rinnovato clima di stabilità politica emerso a seguito dell’elezione di Kishida. Il nuovo primo ministro ha promesso maggiori sgravi fiscali alle aziende che aumentano i salari da tempo stagnanti (le retribuzioni medie sono salite di appena il 4% in più di trent’anni); inoltre, nella sua prima dichiarazione politica importante, ha annunciato un pacchetto di stimolo record da 490 miliardi di dollari. Con l’inizio dei rialzi dei tassi da parte della Fed, il deprezzamento dello yen rispetto al dollaro USA dovrebbe accrescere l’attrattiva delle azioni e degli ETF giapponesi sottovalutati, poiché i beni prodotti dalle maggiori imprese esportatrici diventeranno più competitivi, dando impulso ai profitti esteri di queste aziende. In novembre le esportazioni giapponesi sono aumentate del 20% su base annua, evidenziando una forte accelerazione rispetto alla crescita del 9% circa registrata a ottobre. A ben vedere, il Giappone si confronta ancora con numerose difficoltà. Il suo maggiore partner commerciale, la Cina, ha introdotto misure di lockdown rigorose e persegue una rigida politica di “tolleranza zero” contro il COVID-19 che minaccia di prolungare le interruzioni delle filiere globali. Sul Giappone pesano anche i persistenti problemi demografici posti da un tasso di natalità spaventosamente basso e da una popolazione anziana sempre più numerosa che mettono a rischio la produttività e l’espansione economica. L’anno scorso la popolazione giapponese in età lavorativa è diminuita a circa 74 milioni di persone, in calo del 14% dal picco toccato nel 1995. Per fortuna il Giappone beneficia di sistemi di automazione avanzati e ben integrati. Il paese, che vanta già un’intensità di robot tra le più elevate al mondo, dovrebbe assistere a un’ulteriore espansione del mercato della robotica con percentuali del 7% nel 2021 e del 5% nel 2022. Per dare impulso ai consumi è necessario inoltre che i prodigiosi risparmiatori del Giappone si sentano sicuri di spendere. Parte di questa spinta potrebbe dipendere dalla velocità e dalla creatività con cui si riescono a superare le interruzioni delle filiere produttive.

Alcune case automobilistiche giapponesi hanno un vantaggio sui concorrenti esteri, avendo incrementato le proprie scorte di componenti semiconduttori dopo aver fatto tesoro degli insegnamenti appresi dal terremoto del 2011. Altri fornitori giapponesi di tecnologia, come i principali produttori di componenti per iPhone, hanno iniziato da tempo a cercare di ridurre la loro dipendenza dalla Cina, trasferendo la produzione in Vietnam, Thailandia e altri paesi del Sud-est asiatico. L’esigenza di diversificare è dettata da diversi rischi potenziali. Oltre ai disastri naturali, alle tendenze demografiche e alle turbolenze delle catene di produzione, c’è anche un rischio di incertezza geopolitica.

Una nuova alba?

Tuttavia, un barlume di nuova speranza proviene forse dalla banca centrale giapponese, che di recente è diventata più ottimista sulla crescita. Pur mantenendo invariate le sue principali leve di politica monetaria, a gennaio la BOJ ha detto di considerare i rischi di inflazione “generalmente equilibrati”.

Nelle sue più recenti prospettive trimestrali, l’istituto ha rivisto al rialzo le sue previsioni sull’inflazione per l’anno fiscale che inizia in aprile, portandole al 2,2% dalla sua precedente stima dello 0,9%.