Se son rose …

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Questa settimana la temuta invasione russa in Ucraina ha monopolizzato l’attenzione di media e mercati finanziari, generando tensioni e volatilità su tutte le asset class. I segnali distensivi che arrivano da entrambi i fronti sembrano scongiurare la guerra aperta, anche se è ancora da valutare il successo delle molteplici iniziative diplomatiche. Alla prima reazione emotiva positiva dei mercati, subentrerà una fase di analisi più approfondita per comprendere l’impatto più duraturo sulle diverse asset class. Tutto questo si inserisce all’interno di uno scenario già complesso, con un’inflazione che sembra non voler toccare il picco auspicato, rendendola sempre meno transitoria. I mercati sono molto reattivi alle esternazioni di ogni membro del Board delle Banche Centrali sia che prefiguri un’accelerazione del tightening, sia che ne allontani i tempi di attuazione. Questa incertezza si è riflessa nel recente andamento dell’oro che, in quanto “bene rifugio”, si è apprezzato nella fase di tensione geopolitica, pur in concomitanza con la risalita dei tassi reali. Come è noto l’oro si caratterizza per la relazione inversa con il livello dei tassi reali d’interesse: un loro aumento accresce il costo opportunità di detenere oro. Il mercato azionario invece prosegue nella fase correttiva iniziata a gennaio che ha investito in particolare gli indici americani, la cui composizione settoriale è fortemente sbilanciata verso i titoli di “crescita”, più sensibili al rialzo dei tassi.

Si è passati dai due aumenti stimati a dicembre per il 2022, ai sette previsti attualmente. Questo cambio di marcia più aggressivo rende probabile un impatto negativo sulla crescita economica con una possibile sospensione dell’azione già nel prossimo anno all’1,75%, rispetto al target della Fed stimato intorno al 2,5%. Le valutazioni dei mercati azionari in termini relativi, cioè se confrontati ai rendimenti obbligazionari, sono risultate interessanti in questi anni di tassi compressi, mentre a livello assoluto, seppur non propriamente a buon mercato, con il de-rating iniziato da circa un anno sono tornate in alcune aree su livelli appetibili.

Lo Standard &Poor’s 500 lo scorso anno era arrivato a prezzare 23 volte gli utili attesi. Nei mesi successivi le riaperture post lockdown hanno ridato slancio alle attività, le aziende hanno conseguito ottimi risultati, superiori all’apprezzamento di mercato, tali da garantire un progressivo rientro dell’indicatore. Attualmente il P/E è a 19,5, ancora al di sopra della media storica ma gli analisti proseguono nella revisione al rialzo delle stime sugli utili sia di quest’anno, sia del prossimo. Pur se le incognite non mancano, una moderazione dei toni da parte della Fed consentirebbe una ripresa dei flussi sui listini azionari, favorendo nuovamente i settori ad alta crescita.