La mancanza di dati ESG non è più una scusa per non essere sostenibili
La mancanza di una quantità sufficiente di dati accurati riguardo le emissioni o altri ambiti della sostenibilità, come la biodiversità o l’uso delle risorse, ha portato alcuni a chiedersi se si possa davvero ottenere un quadro chiaro sulle attività aziendali.
Un’area che si rivelerà probabilmente di fondamentale interesse è la misurazione delle emissioni Scope 3 delle aziende, dato che gli investitori perseguono obiettivi Net Zero. Si tratta delle emissioni che si verificano lungo la catena del valore di un prodotto, come quelle prodotte da un autista o quelle generate da un produttore di automobili (Scope 1), oppure ancora l’energia utilizzata per produrre l’auto stessa (Scope 2), tutti dati piuttosto semplici da raccogliere.
Il vero problema è che ancora non sono molte le persone che guardano ai dati Scope 3, e che vi trovano errori e chiedono di migliorarli. Ma non si tratta solo di acquisire i dati, laddove siano disponibili. Tutti i dati, per definizione, guardano al passato, il che non ci aiuta a capire se un’azienda è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di emissioni Net Zero. Una soluzione è quella di utilizzare proiezioni più lungimiranti, ma questo metodo ha i suoi difetti, in quanto i ‘dati lungimiranti’ sono solo previsioni, e non certezze.
Inoltre, non mancano le sfide quando ci si trova a lavorare con i dati – dobbiamo ancora capire come analizzare e relazionare correttamente questi dati. È molto più complicato di quanto si possa immaginare cercare di riunire tre fornitori in un unico quadro per averne una visione completa. Spesso gli stessi dati vengono identificati diversamente, le metodologie e le terminologie non sempre sono perfettamente allineate e ogni fornitore potrebbe applicare dei filtri a proprio piacimento.
Tra i cambiamenti che sono stati apportati nell’analisi dei dati figura l’abbandono della misurazione delle emissioni, o di altre metriche di sostenibilità, rispetto al reddito di un’azienda – il cosiddetto “intensity approach”. Gli analisti ora le confrontano con il valore dell’azienda comprensivo di liquidità (EVIC, Enterprise Value Including Cash), ovvero la capitalizzazione di borsa di un’azienda più la sua liquidità e il debito, il cosiddetto “ownership approach”.
Ora l’enterprise value è alla base delle nostre decisioni poiché fornisce un quadro molto più chiaro della nostra “ownership” di queste emissioni in tutti i tipi di investimenti, che si tratti di azioni o di obbligazioni. Un ulteriore vantaggio dell’enterprise value è la considerazione delle attività delle aziende indipendentemente dal ciclo economico. Ciò riflette maggiormente le dimensioni delle singole aziende.
Anche avere un quadro comune sarebbe di grande aiuto; si tratta di un aspetto che si pone al centro della definizione stessa di sostenibilità. Si stanno, infatti, facendo sforzi per cercare di standardizzare le metriche di impatto in modo da rendere più facile il confronto dei dati sulle emissioni. Un buon quadro di base è molto importante in quanto permetterebbe di comunicare con la stessa lingua. Questo non significa che dobbiamo avere ogni singolo dato esattamente uguale da parte di ogni singolo fornitore. Ma uno standard omogeneo permetterebbe di fare confronti e di essere coerenti nel tempo.
L’UE sta facendo grandi passi avanti in questo ambito, anche grazie alla tassonomia, che sarà una pietra miliare nella definizione dell’investimento sostenibile. Un’altra svolta è arrivata al summit sul clima COP26, con l’annuncio della creazione dell’International Sustainability Standards Board. Questa organizzazione, parte della fondazione International Financial Reporting Standards, fornirà principi globali completi di standard sulla divulgazione di dati relativi alla sostenibilità, molto simile a quello che esiste oggi con la contabilità finanziaria.
La mancanza di dati è stata talvolta usata sia dalle aziende che dagli investitori come una ragione per evitare di considerare la sostenibilità nei propri investimenti. Non esistono dati perfetti, ma quelli disponibili sono sufficienti per essere perfettamente utilizzabili. I dati in generale possono ancora essere raccolti e le lacune o le incongruenze possono essere risolte. Questo, tuttavia, non dovrebbe ostacolare un investitore dall’adottare l’investimento sostenibile.
Avendo un team sempre più ampio per l’analisi e la comprensione dei dati, e con l’avvento della Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) che definisce più chiaramente i requisiti per la sostenibilità, diventerà sempre più chiaro cosa significhi per una società essere un investimento sostenibile.