L’impatto della guerra in Ucraina dovrebbe dare impulso al processo di riduzione delle emissioni nette di carbonio

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L’ultimo rapporto sul clima dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è una lettura che fa riflettere. L’organismo della Nazioni Unite che si occupa di valutare gli impatti del cambiamento climatico afferma che anche il superamento temporaneo di questo livello di riscaldamento provocherà “ulteriori gravi impatti, alcuni dei quali saranno irreversibili. Aumenteranno i rischi per la società, inclusi quelli relativi a infrastrutture e insediamenti costieri”.

L’analisi ci ricorda l’urgenza di azzerare le emissioni nette di carbonio, in un periodo in cui prima la pandemia, e adesso la crisi ucraina, hanno capovolto l’ordine delle priorità sul fronte geopolitico e monetario.

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Nuove sfide

La guerra ha suscitato nuovi timori rispetto alla sicurezza energetica e all’approvvigionamento di combustibili, spingendo diversi paesi ad affrettarsi a rivalutare le proprie scorte di combustibili fossili a fronte di ulteriori rincari.

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Il fulcro della questione è il ruolo centrale della Russia come fornitore energetico ormai non più affidabile. Allo stesso tempo, gli investimenti in impianti di generazione a combustibili fossili sono diminuiti, a fronte di una maggiore allocazione di capitale su modelli energetici più sostenibili. C’è chi obietta che questo vincoli la capacità del settore energetico di far fronte a un improvviso aumento della domanda, in quanto le rinnovabili non hanno ancora raggiunto una capacità sufficiente a coprire la potenziale carenza, e tecnologie come il solare e l’eolico non sono in grado di aumentare rapidamente i livelli di produzione.

La transizione sull’orlo del baratro

Vladimir Putin ha spinto il mondo sull’orlo di un precipizio rispetto alla transizione energetica. Riduzioni volontarie o forzate del consumo di energia di provenienza russa stanno spostando la domanda verso altri fornitori e altre fonti, con possibili ulteriori aumenti dei prezzi nel breve. Sembra inoltre probabile che questa volontà di trovare la risposta più flessibile ai rincari e alle carenze energetiche possa spingere verso l’utilizzo di carbone, petrolio e gas proveniente da altri paesi a livelli incompatibili con la curva di riduzione delle emissioni e con il perseguimento dell’obiettivo net zero.

Questo senso di urgenza è comprensibile, forse persino necessario in extremis, ma potrebbe essere francamente disastroso per l’ambiente se le azioni della Russia dovessero riportare in auge impianti a combustibili fossili, mettendo a repentaglio i tempi e la qualità del nostro percorso verso un’economia globale sostenibile. La transizione energetica non è mai stata così urgente – e qualsiasi singola proposta rischi di ritardare l’abbandono dei combustibili fossili dovrebbe essere vagliata con la massima scrupolosità, poiché in un momento in cui la nostra dipendenza dai combustibili fossili è più costosa e pericolosa di sempre non è il momento per aumentarla ulteriormente.

Così l’Europa deve affrancarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili russi, diversificando le forniture di gas e accelerando la transizione verso energie pulite.

La prossima mossa

Il momento attuale potrebbe essere un’opportunità per accelerare la transizione in modo da contribuire a proteggere i paesi e gli investitori – da fasi di tensione simili che potrebbero prodursi nei prossimi anni. Il mondo è ancora troppo dipendente dai combustibili fossili per riuscire a ottenere una significativa riduzione delle emissioni di CO2 nel breve periodo. Gli attuali rincari delle fonti di energia a intensità di carbonio dovrebbero spingere ulteriormente al passaggio alle rinnovabili in un momento in cui sono anche favorite da una flessione della curva dei costi a lungo termine, grazie agli sviluppi tecnologici.

Le emissioni di CO2 saranno probabilmente superiori a quanto si prevedeva un paio d’anni fa poiché, nel contesto attuale, il percorso di transizione alle rinnovabili sembra destinato ad essere più accidentato. Ne potrebbe risultare un picco più pronunciato della curva delle emissioni, e questo a sua volta dovrebbe imprimere un’accelerazione agli investimenti pubblici e privati in energia verde e nelle tecnologie correlate per contrastarne gli effetti. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di una flessione marcatamente più ripida della curva delle emissioni, con il beneficio di una maggiore sicurezza energetica. Anche l’idrogeno e il nucleare potrebbero favorire il processo, oltre al solare e all’eolico, come pure gli interventi di efficientamento energetico.

Uno choc energetico prolungato, aggravato dalla guerra in Ucraina, ha riportato in primo piano l’urgenza e le implicazioni sociali della sicurezza energetica, e il cambiamento climatico come minaccia geopolitica fondamentale i cui effetti mettono a rischio il nostro modo di vivere. Non possiamo cercare di risolvere un problema perdendo di vista l’altro. Se non riusciremo a realizzare la transizione a un’economia a basse emissioni, non avremo una crescita economica sostenibile, e pertanto non potremo assicurarci un futuro prospero e sostenibile.