Smart Manufacturing e Digital Transformation Maturity

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Smart Manufacturing – 

Le rivoluzioni industriali

Negli ultimi due secoli e mezzo la produzione ha rappresentato un pilastro fondamentale della società, oggi divenuta globale.  La produzione si è evoluta attraverso cambiamenti di paradigma, comunemente noti come “rivoluzioni industriali”.  Queste quattro rivoluzioni (le prime tre sono legate alla introduzione e uso dell’energia sotto forma di vapore e acqua, poi dall’elettricità e quindi dall’automazione conseguente all’introduzione dell’informatica) hanno avuto un grande impatto sulla crescita economica e sulla vita. Gli storici dell’economia concordano sul fatto che l’inizio della prima rivoluzione industriale sia coincisa con l’addomesticamento degli animali e la capacità di coltivare. L’evento più importante nella storia dell’umanità.

Intervistiamo Marco Belardi, Consulente del MISE Dir. Politiche Industriali.

Intervista a Marco Belardi

Si parla da tempo di quarta rivoluzione industriale, ci può chiarire il concetto?

“La Quarta rivoluzione industriale, o Industria 4.0, prende il nome dall’iniziativa europea Industry 4.0, a sua volta ispirata ad un progetto del governo tedesco. Nello specifico la paternità del termine tedesco Industrie 4.0 viene attribuita a Henning Kagermann, Wolf-Dieter Lukas e Wolfgang Wahlster che lo impiegarono per la prima volta in una comunicazione, tenuta alla Fiera di Hannover del 2011, in cui preannunciarono lo Zukunftsprojekt Industrie 4.0. Concretizzato alla fine del 2013, il progetto per l’industria del futuro Industrie 4.0 prevedeva investimenti su infrastrutture, scuole, sistemi energetici, enti di ricerca e aziende per ammodernare il sistema produttivo tedesco e riportare la manifattura tedesca ai vertici mondiali rendendola competitiva a livello globale”.

Anche l’Italia è protagonista di questa evoluzione?

“L’Italia ha attuato una serie di misure per incentivare gli investimenti funzionali alla trasformazione tecnologica. Il progetto, che aveva inizialmente stimato di generare una spesa tra gli 80 e i 90 miliardi di euro, ha preso il nome di “Industria 4.0” poi “Impresa 4.0” ed ora “Transizione 4.0” ed è stato sviluppato e presentato per la prima volta in Italia nel 2016 dal Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. L’idea della quarta rivoluzione industriale nasce vedendo la fabbrica come luogo nel quale operano i cosiddetti sistemi ciberfisici (CPS), cioè sistemi fisici integrati con i sistemi informatici. Industria 4.0 mira a rendere la produzione “smart”, cioè flessibile e autonoma, e i prodotti sempre più connessi e personalizzati. Per farlo sfrutta una serie di tecnologie abilitanti – molte delle quali già disponibili – tra cui realtà aumentata, cloud, robotica intelligente e collaborativa, cyber security. Alla base dell’Industria 4.0 c’è una diffusa sensorizzazione di sistemi di produzione e prodotti: ancora una volta, tecnologie già esistenti, ma giunte a maturazione e a un livello di prezzo tale da consentirne una diffusione capillare”.

Immagino che la pandemia abbia rallentato questo processo

“Sì, dal 2020 stiamo affrontando una delle più grandi crisi economiche e sanitarie del 21° secolo causata dalla pandemia COVID-19 che ha impresso un’ancor maggior accelerazione al processo di trasformazione teso all’implementazione del paradigma 4.0. Tra gli effetti principali causati dalla rivoluzione indotta dal paradigma 4.0 certamente c’è il passaggio dalla “produzione di massa” alla “personalizzazione di massa” (mass customization) e la trasformazione dei modelli di business che vedono al centro non più la produzione e vendita del prodotto ma l’erogazione del servizio di cui il prodotto è un “sottoprodotto”.

Ma in Italia a che punto siamo?

“Nonostante gli sforzi messi in atto dai governi che si sono succeduti e l’ampia disponibilità di misure incentivanti introdotte in Italia e confermate da ben 6 leggi di bilancio, con un’intensità d’aiuto fortissima, unica in Europa, seconda solo al Piano Marshall varato con gli USA per la ricostruzione dei paesi sinistrati dal conflitto mondiale, il sistema produttivo del nostro Paese è ancora molto lontano da una diffusa e generale adozione di tutto ciò che può essere ricondotto al c.d. “Paradigma 4.0”. Sebbene i report che annualmente si succedono, grazie a survey, assesment e auto-assement promossi da associazioni di categoria e enti vari ci raccontino di un Italia produttiva super digitalizzata e oltre l’80% del campione di aziende intervistate si dichiari “campione digitale” attribuendosi il massimo punteggio disponibile, la realtà è ben diversa”.

Quali sono le criticità principali?

“Tra gli aspetti che più condizionano e limitano lo sviluppo del sistema produttivo nazionale verso il nuovo paradigma ritengo di poter evidenziare cinque fenomeni: anzitutto la Resistenza alla convergenza IT/OT, ovvero la separazione inizialmente generata dalle differenti tecnologie coinvolte e competenze richieste. Prima il sistema IT era proprietario, richiesto internamente dei programmatori, solitamente usato per calcoli finanziari o gestione transazioni commerciali. Al contrario, OT era preconfigurato, sistemi vendor proprietari progettati per funzionare solo su specifiche attrezzature. Questa differenza tecnica è diventata progressivamente organizzativa”.

Può farci qualche esempio?

“Il cambiamento vede ora un uso sempre più intenso delle tipiche tecnologie IT in ambito OT. Alcuni esempi: l’utilizzo della tecnologia Microsoft con il continuo aumento dell’adozione dei database SQL per collegare e analizzare i dati di produzione e di processo; la rapida diffusione delle interfacce user web based, l’aumentata popolarità delle soluzioni mobile per accedere a dati e svolgimento incarichi che richiedono reti WI-FI nelle fabbriche.

Permane tuttavia una forte resistenza al cambiamento a livello organizzativo. Le aziende continuano ad avere due dipartimenti di Operations e di IT fortemente separati, con persone diverse, obiettivi e policy differenti, e una diversa e non condivisa gestione dei progetti non solo lavorano in modo completamente separato, conflittuale e competitivo”.

Qual è il secondo degli aspetti cui accennava prima?

“E’ l’assenza di Digital Back-bone, cioè di una struttura di interconnessione, fatta di asset materiali ed intangibili, in grado di supportare il plug & play degli asset tecnologici acquisiti, così potendo immediatamente disporre dei vantaggi connessi allo scambio dati tra i diversi livelli della struttura operativa. Ancora, anche a causa di mancanza di standard convergenti, le soluzioni adottate creano sovrapposizioni e vuoti con scarsa efficienza gestionale di ciò che sta assumendo rilevanza e valore prioritari: i dati”.

Altre criticità?

“L’assenza o inefficienza delle piattaforme di gestione della produzione (MES). La gestione dello shop-floor produttivo digitalizzato è possibile solo se lo stesso è supportato da un’apposita piattaforma con cui scambiare dati nell’ambito delle diverse aree di gestione: pianificazione, schedulazione e monitoraggio della produzione, tracciabilità di processo e prodotto, manutenzione predittiva, ecc. … ancora troppo spesso, quando presenti, le soluzioni adottate sono dettate dall’esigenza di soddisfare requisiti normativi connessi alle agevolazioni del piano 4.0 più che quale risultato di una progettualità specifica con soluzioni realmente customizzate e adeguate alla struttura produttiva asservita”. Poi l’inadeguata formazione e conoscenza delle tecnologie abilitanti: troppo spesso le aziende investono in tecnologia senza formare adeguatamente, a tutti i livelli, le risorse umane coinvolte nell’uso di tali tecnologie. In altri casi, la mancanza di conoscenza preventiva porta le aziende a non cogliere le opportunità rese tali dalle tecnologie abilitanti.

Infine, la mancata analisi di processo e conseguente strategia di sviluppo. Sono ancora troppo spesso assenti le indispensabili attività di pianificazione del processo di trasformazione con analisi degli stati As-Is e programmazione degli stati To-Be supportata da tecniche Lean”.

Come desidera concludere questa intervista?

“La trasformazione digitale non è un’opportunità da valutare in termini di costi/benefici. E’ una necessità che, se non soddisfatta, porterà ad una selezione darwiniana con l’estinzione di molte aziende che non avranno saputo interpretare una tendenza in atto ormai irreversibile”.