Sorprende ancora l’inflazione in Eurozona

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Continua la serie di sorprese positive sull’indice armonizzato dei prezzi al consumo (HICP). La mediana degli economisti di Wall Street convergeva su stime di una lieve decelerazione dell’inflazione mensile dopo il forte dato di maggio (+0.8%). Invece, la variazione mensile dell’HICP è confermata a +0.8% per il mese di giugno, equivalente a un aumento dell’8.6% su base annua. Nonostante l’inflazione in Germania, che risulta artificialmente contenuta grazie all’introduzione del prezzo fisso di nove Euro per i trasporti regionali (da qui il temporaneo rallentamento dell’inflazione “core”), siamo di fronte al dato più forte da quando è in vigore la moneta unica.

Sono due gli aspetti che vorrei brevemente toccare:

  1. Alla luce delle continue pressioni sulle materie prime, della persistenza del conflitto Russia/Ucraina, nonché delle evidenti strozzature logistiche, l’outlook per l’inflazione in Eurozona non può che essere positivo. Non escluderei inoltre di vedere una inflazione a doppia cifra nei prossimi mesi, come già riscontriamo in Spagna per esempio. Anche la BCE ha “gettato la spugna” prevedendo una inflazione che sarà più alta per più a lungo (Lagarde ha addirittura annunciato che l’era dell’inflazione bassa sarebbe finita).
  2. L’inflazione è ai massimi del periodo Euro, senza peraltro riscontrare ancora una significativa pressione salariale (i salari “negoziali” sono aumentati del 2.8% nel primo trimestre). È quindi più che lecito domandarsi a che livelli di inflazione andremmo incontro in uno scenario di spirale tra prezzi e salari. Non è solo l’outlook dei prossimi mesi a preoccupare (le curve swap prezzano l’inflazione a +6.2% per i prossimi dodici mesi), ma anche quello per i prossimi anni. Basti ricordare le motivazioni di Jay Powell per il recente aumento dei tassi da di 75 punti base: Le aspettative di lungo periodo stanno aumentando. Il Survey of Professional Forecasters (SPF) prevede negli USA una inflazione media del 3.4% per i prossimi cinque anni.

Ovviamente, l’accelerazione dei prezzi incute timore ai mercati, che da qualche settimana si domandano incessantemente quanto probabile sia una recessione. Nelle nostre ultime stime, non prevediamo una recessione per i prossimi 12 mesi, né negli Stati Uniti né in Eurozona, ma non nascondo che anche io comincio a preoccuparmi. È vero i dati macro sono ancora relativamente stabili e non possiamo escludere che l’attuale rallentamento ciclico sia frutto di un connubio tra i ripetuti lockdown Cinesi e l’avversione al rischio dovuta al conflitto in corso. Però è anche vero che pilotare l’economia verso un “soft landing” è un esercizio complesso, costantemente a rischio di folate di inflazione piuttosto che di sorprese negative sui dati reali. Di sicuro – se mi consentite questo eccesso di certezze – le banche centrali avranno da fare delle scelte, esposte come sono tuttora al classico dilemma di politica monetaria: In presenza di uno shock asimmetrico, cioè inflazione e rallentamento della crescita economia, cosa fare? Alzare i tassi per combattere l’inflazione? Abbassarli per stabilizzare la congiuntura? Questo trade-off implica incertezza. Incertezza implica rischio.