E se l’economia statunitense resistesse?

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“Dobbiamo far scendere l’inflazione anche se l’economia entra in recessione”. È difficile essere più espliciti di Loretta Mester, a capo della Fed di Atlanta. Altrettanto aveva dichiarato, pesando maggiormente le parole, il presidente della Federal Reserve (Fed) degli Stati Uniti – Jerome Powell – durante il simposio delle banche centrali tenutosi a Jackson Hole a fine agosto. Dopo un’estate esageratamente euforica questo monito ricorda ai mercati una spiacevole realtà: le banche centrali, per molto tempo, non garantiranno più alcun sostegno. Questo nuovo quadro comporta non poche conseguenze visto che gli investitori, per oltre un decennio, si sono abituati a vedere i principali finanziatori del mondo venire loro in aiuto al comparire della minima difficoltà. Eppure, benché il suo impatto sia rilevante, la politica monetaria non è l’unica determinante dei mercati e le dinamiche economiche sono un altro aspetto che non va trascurato. E su questo fronte le prospettive potrebbero non essere così fosche, soprattutto negli Stati Uniti.

Prendiamo innanzitutto l’inflazione. Al di là dei dati mensili, va pur detto che molti elementi stanno a indicare un allentamento graduale delle pressioni inflazionistiche. Nel settore dei trasporti, uno dei principali responsabili dell’inflazione nella primavera del 2021, stiamo assistendo a una costante riduzione del costo dei veicoli di seconda mano e a una ricostituzione delle scorte di veicoli nuovi, che dovrebbero contribuire a stabilizzare i prezzi. Più in generale, il graduale riassorbimento dei colli di bottiglia che hanno sconvolto le catene di approvvigionamento globali negli ultimi trimestri dovrebbe contribuire a placare le tensioni sui prezzi dei beni di consumo. Si tende alla moderazione anche nel settore immobiliare, il principale responsabile dell’inflazione negli ultimi mesi. La domanda sprofonda sia in termini di transazioni che di richieste di finanziamento, mentre si stanno ricostituendo le scorte. Questo può significare una sola cosa: l’inflazione immobiliare scenderà nei prossimi mesi. Infine, il forte rafforzamento del dollaro rispetto alla maggior parte delle valute porterà a una disinflazione dei beni importati.

Le prospettive di una riduzione dell’inflazione sono una buona notizia per gli operatori economici. Tuttavia, si accompagnano ad alcuni elementi meno positivi quali i consumi, in particolare, che segnano il passo, i rischi che si stanno profilando di un eccesso di scorte e un effetto ricchezza negativo indotto da un prossimo calo dei prezzi degli immobili. Eppure, l’economia statunitense dispone oggi di diverse reti di sicurezza. In primo luogo, le famiglie stanno appena iniziando ad attingere alle ingenti riserve di risparmio accumulate durante la crisi del Covid. In secondo luogo, nel complesso le famiglie e le imprese non sono eccessivamente indebitate e la redditività aziendale è rimasta per il momento elevata. Infine, il mercato del lavoro continua a dimostrarsi solido. Le richieste di assegni di disoccupazione stanno registrando un aumento molto moderato e nelle ultime settimane le nuove richieste sono addirittura diminuite. Il numero di posti di lavoro disponibili rimane elevato rispetto al numero di persone in cerca di occupazione e la creazione di posti di lavoro si conferma forte, con oltre 300.000 posti creati ad agosto.

Sebbene il sentiero continui a essere tortuoso, i dati economici ci consentono – per il momento – di coltivare la speranza di un “soft landing”. In altre parole, in questo scenario la Fed porterebbe fino in fondo la sua stretta monetaria senza provocare un rallentamento dell’economia statunitense più marcato di quanto si è osservato negli ultimi mesi. Sarebbe un contesto ideale per consentire ai mercati azionari di ritrovare una certa vitalità sulla base di fondamentali sani.