L’ansia del nostro tempo e l’importanza della comunicazione. Conoscere la lingua italiana

Annachiara De Rubeis -

Quanto è importante conoscere la lingua italiana?

“Le parole sembravano contenute in libri essenziali, in numero limitato, almeno pareva così: non si affogava in un mare di voci come adesso”. Così scriveva nel 2006 Gian Luigi Beccaria nel saggio “Per difesa e per amore”.

La critica è forte e chiara e il 2006 era solo l’inizio: in una società notoriamente consumistica come la nostra, in cui la parola viene sempre più frequentemente usata a scopi pubblicitari, quanto è importante ancora conoscere la lingua italiana?

Profondità e trasmissibilità di un messaggio

La verità è questa: affinché un messaggio venga trasmesso, c’è bisogno che le idee siano profonde e le idee sono profonde solo quando sono autentiche e vissute sulla pelle di chi le racconta. Profondità e trasmissibilità di un messaggio non sono l’una il contrario dell’altra, anzi, coincidono, sono direttamente proporzionali tra loro e più un concetto è profondo, più è concreto, più sarà facilmente trasmissibile. Dimostrazione lampante di ciò è proprio la Divina Commedia, in cui anche il più filosofico dei pensieri, se calato in una storia che racconta, con personaggi e oggetti che si muovono su un particolare scenario, può essere facilmente compreso e memorizzato dalla maggior parte della popolazione (perché sì, a recitare i versi di Dante non sono stati solo i letterati, ma proprio la gente comune, commercianti e artigiani inclusi).

Qual è il problema oggi?

Ma allora qual è il problema oggi? Il problema è l’eccesso. Oggi è innegabile che la quantità di parola scritta sia aumentata, basti pensare all’uso che facciamo della cassetta delle mail, Whatsapp, Instagram, ecc. ma in che modo? Eccessivo. Questo costante bisogno di dire qualcosa agli altri, tanto siamo presi dall’inseguire il bisogno che quasi ci viene imposto di fare, per qualsiasi cosa. Eccessivo.  Dimentichiamo che la scrittura è lavoro, fatica vissuta al pari della fatica artigianale. Quante volte in questi mesi è esplosa su ogni tipo di rivista la parola “emergenza”? Dalla pandemia ai contesti più disparati, anche l’uso di questa parola è diventato eccessivo. In più, dominati da una concezione industriale che in un modo o nell’altro ci porta a dimostrare di essere produttivi, lungi dal perdere tempo, nel frattempo come sosteneva Beccaria “un assedio di parole sembra stringerci d’intorno”.  Siamo assediati da una sovrabbondanza di parole interessate.

Saper usare la propria lingua madre

Eppure, esiste davvero un italiano per la comunicazione, il cui intento è e sarà sempre quello originario della generosità d’informazione, la verità, non la persuasione a suscitare il continuo bisogno di possedere sempre più oggetti.  Saper usare la propria lingua madre è a questo punto vitale per combattere la “cattiva pubblicità”, quella che non fa più semplicemente leva sui desideri, ma arriva a creare un mondo che si finge necessario, accessibile per tutti, ma che in realtà necessario non è.

Queste parole “gratuite” sono solo in apparenza democrazia. Dante definiva Arnaut Daniel “il miglior fabbro del parlare materno”: la lingua madre è materia prima da imparare ad usare nel migliore dei modi per plasmare e trasmettere appropriatamente un messaggio e più avrò una conoscenza vasta di questa materia prima, più la mia creatività sarà stimolata, più il mio pensiero coglierà le sfumature della realtà e resisterà nel tempo. E se la lingua italiana è complessa è perché è una ricchezza, non una condanna. La civiltà cresce se cresce l’autocoscienza, non il bisogno. Siamo ancora in grado di riconoscerci in parole vere, non istantanee e non accelerate? La prima lotta da fare perché l’italiano comunichi veramente è combattere l’idea di essere ridotti tutti a consumatori.