COP27, vogliamo credere che “volere è potere”

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Il Patto per il Clima di Glasgow, entrato in vigore a conclusione di COP26, esorta le nazioni a “rivedere e rafforzare gli obiettivi 2030 nei loro contributi nazionali, azione necessaria per allinearsi all’obiettivo di riduzione della temperatura entro la fine del 2022 come deciso con l’Accordo di Parigi”. Avvicinandosi alla COP27, in un contesto geopolitico molto teso e caratterizzato da scarsità di cibo, crisi energetica, inflazione incontrollata e probabilità di recessione in aumento, la cooperazione multilaterale potrebbe essere una sfida. A che punto siamo e cosa possiamo aspettarci dalla COP27?

Nonostante il difficile contesto del 2022, abbiamo assistito a promesse ambiziose da parte dell’Australia (un obiettivo di riduzione delle emissioni modificato, che passa dal 27% al 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005), dell’India (un obiettivo di riduzione delle emissioni incrementato dal 34% al 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 e Net Zero entro il 2070) e degli Stati Uniti con l’Inflation Reduction Act, il più grande investimento nel clima e nell’energia della storia americana (un obiettivo di riduzione delle emissioni del 50% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 e Net Zero entro il 2050).

Tra le iniziative di decarbonizzazione settoriale annunciate alla COP26, alcune hanno fatto progressi:

  • l’Iniziativa per la decarbonizzazione industriale profonda (IDDI), i cui membri rappresentano oggi rispettivamente l’11% e il 5% del consumo globale di acciaio e cemento.
  • il Global Methane Pledge, che mirava a ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, si è evoluto nel Global Methane Pledge Energy Pathway, che ora può contare su 59 milioni di dollari di finanziamenti dedicati e assistenza per l’attuazione di alcuni obiettivi chiave: sfruttare il massimo potenziale tra costi/efficacia del metano nel settore Oil&Gas ed eliminare il “flaring” il prima possibile, non oltre il 2030.

Dopo la caotica gestione della crisi energetica del 2022 in Europa, l’elefante nella stanza è la fattibilità e la credibilità della Dichiarazione di Transizione Globale dal Carbone all’Energia Pulita, in base alla quale i Paesi sviluppati si sono impegnati a eliminare l’utilizzo del carbone entro il 2030 e i Paesi in via di sviluppo entro il 2040.

Quale sarebbe un risultato positivo per la COP27? I progressi nel raggiungimento dell’obiettivo di 100 miliardi di dollari all’anno per il finanziamento del clima sono fondamentali, così come la definizione di un nuovo obiettivo post-2025. Secondo i dati annunciati alla COP26, nel 2020 sono stati mobilitati 83 miliardi di dollari per il clima, il 98% dei quali provenienti da fondi pubblici e solo il 2% dal settore privato, il che lascia un ampio margine di crescita. La Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ) è stata creata proprio con questo obiettivo, per colmare il divario tra finanziamenti pubblici e private a sostegno del clima. Ha mobilitato più di 450 soggetti, che rappresentano oltre 130.000 miliardi di dollari di asset in gestione al momento del lancio nel 2021. Da allora abbiamo assistito a molti altri impegni, ma negli ultimi mesi il movimento ESG bashing negli Stati repubblicani degli USA ha iniziato a sollevare preoccupazioni sul ruolo delle banche rispetto alla riduzione dei cambiamenti climatici. Il mercato teme che l’alleanza si possa rompere se le banche statunitensi dovessero ritirarsi, sulla base del fatto che gli impegni Net Zero comportano rischi di responsabilità che oggi potrebbero essere considerati troppo elevati.

Questo enorme divario nel mercato sta spingendo gli attori finanziari in direzioni opposte diventando controproducente per la mobilitazione dei finanziamenti per il clima. Questa situazione sta distraendo l’industria finanziaria mentre noi abbiamo una sfida pratica e più a breve termine da affrontare: come incrementare la partecipazione a un problema urgente nel lungo termine, riconoscendo al contempo il peso della recessione economica incombente. Le imprese e i governi non risponderanno allo stesso modo a questa domanda.

In tempi di contrazione economica, le aziende reagiscono riducendo i piani di spesa in conto capitale, congelando le nuove assunzioni (addirittura licenziando i dipendenti), mantenendo l’operatività senza interruzioni e massimizzando l’efficienza. Tuttavia, i CEO hanno un mandato che va oltre il ciclo di recessione, dovendo portare una visione di redditività sostenibile nel lungo termine che oggi non può non tener conto anche dei fattori sociali e ambientali.

In base alla nostra esperienza nell’identificare opportunità di investimento con un approccio orientato alla salvaguardia del clima, una grande leadership e un’efficiente governance aziendale si riflettono nella capacità dei team esecutivi di vedere oltre le turbolenze a breve termine, continuando a investire in ciò di cui l’azienda avrà bisogno quando arriveranno tempi migliori: trattenere i talenti, riorganizzare l’attività, modificare il mix di prodotti, ecc.

D’altra parte, ci si aspetta che i governi delle principali economie forniscano un sostegno nei momenti difficili: che progettino e approvino nuove politiche in grado di trasformare la crisi in un’opportunità. Inoltre, i governi non possono trascurare ciò che una visione a breve termine scarterebbe: la sostenibilità sociale e la soddisfazione dei bisogni sociali fondamentali dei cittadini. Con la crescente pressione sull’agricoltura causata da eventi meteorologici estremi, le esigenze di adattamento sono al centro dell’agenda sociale e potrebbero quindi raccogliere maggiori impegni finanziari. I finanziamenti per sostenere situazioni di perdite e danni (soprattutto per i Paesi più vulnerabili) sono in cima alla lista delle priorità della COP di quest’anno.

Gli Stati Uniti ricorderanno il 2022 come l’anno dell’uragano Ian, il secondo più dannoso e costoso per il Paese. L’uragano ha, infatti, causato danni per oltre 100 miliardi di dollari. Inondazioni in Pakistan e Australia, livelli di siccità mai visti (tra i peggiori degli ultimi 500 anni), ondate di calore e incendi nell’emisfero settentrionale sono catastrofi climatiche che si prevede diventeranno da 15 a 30 volte più frequenti. Le implicazioni dirette non sono solo di tipo edilizio, ma riguardano anche la sicurezza alimentare, con il calo dei raccolti (la scorsa estate il raccolto di riso nel Nord Italia è diminuito del 30%) e di conseguenza delle materie prime. Si prevedono anche effetti a lungo termine sulla biodiversità e sugli ecosistemi, che avranno ripercussioni ancora maggiori.

La COP27 si riunirà in un contesto economico e geopolitico molto cupo. Sebbene le aspettative siano basse, non si possono escludere sorprese positive. Possiamo solo sperare e chiedere che i nostri leader guardino oltre l’incombente recessione e le tensioni geopolitiche con la Russia e promuovano piani climatici più ambiziosi per proteggere il future del mondo.