L’inflazione elevata è l’ultima distorsione pandemica?

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L’ultima volta che l’inflazione statunitense ha superato il 9%, Ronald Reagan era stato appena eletto presidente degli Stati Uniti. IBM vendeva il suo primo personal computer con software Microsoft. E le auto sportive DeLorean in acciaio inossidabile uscivano dalla linea di produzione. Forse è per questo che il 2022, per certi versi, sembra un viaggio indietro nel tempo. L’inflazione elevata, i tassi d’interesse in aumento, un mercato ribassista in crisi e una guerra per procura con la Russia sembrano eventi fin troppo familiari a chiunque abbia vissuto i primi anni Ottanta. Il contesto di mercato odierno, tuttavia, è stato plasmato da un evento completamente diverso. La pandemia di COVID-19 e, soprattutto, la risposta alla stessa hanno creato grandi distorsioni nell’economia e nei mercati, dall’inflazione alle stelle alla carenza cronica di manodopera, fino all’interruzione delle catene di approvvigionamento.

L’inflazione elevata rappresenta la distorsione di maggiore impatto. Una rapida crescita della massa monetaria, favorita da misure di stimolo governative dell’era pandemica, da prestiti bancari massicci e da tassi d’interesse bassissimi, ha coinciso con un drastico aumento dell’inflazione. In altre parole, i Paesi che hanno ricevuto maggiori stimoli durante la pandemia hanno in genere registrato i tassi di inflazione più elevati. A giugno, l’inflazione primaria degli Stati Uniti ha raggiunto il 9,1% su base annua, il livello più alto dal 1981. L’importante è che la Federal Reserve (Fed) statunitense e molte altre banche centrali si stiano muovendo rapidamente per inasprire la politica monetaria. Ciò dovrebbe far scendere l’inflazione. Inoltre, la maggior parte dei governi non sta più erogando fondi di sostegno per la pandemia a imprese e privati. Questo significa che l’inflazione potrebbe tornare al livello del 2%, da tempo obiettivo della Fed? Dipende molto da come la Fed reagirà in futuro. Vediamo diversi scenari, tra cui uno più inflazionistico, ma anche la possibilità di un ritorno alla deflazione. Se la Fed mantenesse il suo atteggiamento aggressivo e inasprisse troppo le misure, potrebbe verificarsi una brutta recessione. D’altro canto, se dovesse invertire la rotta, le elevate aspettative inflazionistiche potrebbero radicarsi nell’economia reale.

Un’altra distorsione del COVID che rimane radicata è la grave carenza di manodopera. Nel 2021, una narrativa mediatica popolare si è sviluppata intorno all’idea delle “grandi dimissioni”, ispirata dai dati del governo statunitense che mostravano come circa 47 milioni di persone avessero volontariamente lasciato il proprio lavoro e sembrassero scomparire dalla forza lavoro. Questo squilibrio nella forza lavoro ha colpito alcuni settori più duramente di altri, in particolare quelli più negativamente interessati dalle chiusure del periodo della pandemia. Tra questi, i settori dei viaggi, dell’ospitalità, dell’industria manifatturiera e dell’istruzione. Lo squilibrio della forza lavoro comporta anche notevoli implicazioni per il piano di rialzo dei tassi della Fed, dato il desiderio della banca centrale di raffreddare il mercato del lavoro, che contribuisce all’inflazione attraverso l’aumento dei salari.

Se questi cambiamenti nella forza lavoro dovessero persistere sarebbero necessari più rialzi dei tassi di quanto il mercato abbia previsto oggi — e per un periodo di tempo più lungo — per riallineare la domanda e l’offerta di lavoro. Nel lungo periodo, riteniamo che la crisi del lavoro si attenuerà, soprattutto se l’economia statunitense dovesse cadere in recessione nel corso del prossimo anno o dei prossimi due. Ma si tratta di un modo doloroso di risolvere il problema. Tra le principali distorsioni dell’economia e dei mercati odierni, questa interessa il fulcro della diversificazione del portafoglio.

In poche parole, quando le azioni procedono in un senso, le obbligazioni dovrebbero andare nel senso opposto. Ma questo non è ancora accaduto nel 2022. Entrambe le principali classi di attivi sono sotto pressione a causa dell’elevata inflazione e dell’aumento dei tassi d’interesse che colpiscono le azioni orientate alla crescita e molti tipi di obbligazioni societarie e governative. Se la Fed riuscirà a tenere sotto controllo i prezzi al consumo, dovrebbe tornare la correlazione storicamente negativa tra azioni e obbligazioni. A nostro avviso, il sostegno monetario e fiscale diminuirà nel corso del prossimo decennio. Si tratterebbe di un grande cambiamento rispetto a quello che abbiamo sperimentato nell’ultimo decennio, che è stato in gran parte definito da un intervento da parte del governo. Un intervento più limitato potrebbe portare a mercati più volatili di quelli a cui gli investitori sono abituati.

Non tutte le distorsioni causate dal COVID hanno necessariamente una connotazione negativa. Sul mercato azionario, infatti, riteniamo che stiano emergendo opportunità post-pandemiche in una serie di settori. Tra questi vi sono quelli relativi alla sfera dei “cambiamenti strutturali”, tra cui la transizione dalle fonti energetiche tradizionali a quelle più sostenibili, anni di investimenti insufficienti nelle materie prime, che potrebbero portare a un nuovo superciclo delle stesse, e grandi cambiamenti industriali, come la crescente adozione dell’automazione, con conseguente aumento della domanda di semiconduttori. Teniamo inoltre monitorate alcune società tecnologiche e di beni tecnologici di consumo gravemente danneggiate, tra cui alcuni dei beniamini delle chiusure causate dal COVID, che nel frattempo hanno subito una forte flessione. La notevole spinta della domanda a cui abbiamo assistito durante le chiusure si è rivelata un momento passeggero, anziché un nuovo paradigma, e i prezzi delle azioni stanno iniziando a riflettere questa realtà.

Molte delle distorsioni dei prezzi a cui abbiamo assistito nel 2020 e nel 2021 stanno volgendo al termine, il che non significa che i prezzi non possano scendere ulteriormente. Tuttavia, c’è già stata una grande distruzione dei prezzi e credo che molti degli eccessi siano stati eliminati dal mercato. Nei prossimi anni è in tal merito che la tradizionale capacità di selezione dei titoli farà la differenza. Molte di queste società non sopravviveranno ma alcune usciranno da questa crisi più forti e più redditizie.