Il punto della settimana sui mercati di La Financière de l’Echiquier

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a cura di Enguerrand Artaz, gestore di La Financière de l’Echiquier

Pochi alberi che nascondono la foresta

Nel primo trimestre il quadro appare idilliaco per i mercati azionari, eppure, queste performance mettono in luce solo una parte del listino lasciando realtà meno brillanti in un cono d’ombra.

L’indice di riferimento della Piazza parigina, il CAC 40, macina un record dopo l’altro ed è in testa agli indici mondiali con una performance del 17% circa dall’inizio dell’anno. Il Nasdaq, dopo un 2022 difficile per il settore della tecnologia US, mette a segno un rialzo del 19%. Altri indici, in Europa soprattutto, crescono di oltre il 10% o addirittura del 15%. Nel primo trimestre dell’anno il quadro appare idilliaco per i mercati azionari. Eppure, simili ai punti di fuga che attirano l’attenzione sul soggetto principale di un’opera, queste performance mettono in luce una parte soltanto del listino lasciando realtà meno brillanti in un cono d’ombra.

Va sottolineata, nell’Eurozona, la netta sovraperformance del settore del lusso e dei consumi discrezionali ben rappresentati all’interno del CAC 40: Hermès, LVHM e L’Oréal sfiorano o superano il +30%, mentre Kering e Christian Dior sono in crescita di oltre il 20%. Osserviamo, di contro, la forte sottoperformance delle small cap. A 14% dall’indice MSCI EMU large cap, quello delle piccole capitalizzazioni – l’indice MSCI EMU Small Cap – guadagna il 9% soltanto e quello delle piccolissime capitalizzazioni – l’MSCI EMU Micro Cap – fa meno del 5%.

Il fenomeno si rivela ancora più evidente negli Stati Uniti. A fronte di un balzo dall’inizio dell’anno del 19% per il Nasdaq, l’S&P 500, l’indice di riferimento del mercato azionario statunitense, guadagna poco più dell’8%. Quello dei titoli industriali, il Dow Jones, e quello delle piccole capitalizzazioni, il Russell 2000, sono saliti di poco più del 2%. Per un investitore in euro, questa magra performance è stata spazzata via dal calo del dollaro rispetto alla valuta europea. A spiegare questa dicotomia tra gli indici americani è, in particolare, il forte rialzo dei principali titoli tecnologici. Apple, Microsoft, Amazon, Nvidia e Alphabet, i primi cinque titoli dell’S&P 500, generano da soli il 73% della performance dell’indice, anche se ne rappresentano il 20% soltanto.

Questa ultra-concentrazione delle performance porta a una forte riduzione della profondità del mercato. Nel caso dell’S&P 500, meno del 25% dei componenti dell’indice ha sovraperformato negli ultimi tre mesi rispetto a una media del 50% circa. Si tratta del livello più basso dal 2005 almeno, che dimostra una certa fragilità. Significa, da un lato, che il rialzo si basa su un numero ridotto di titoli. Dall’altro, trattandosi perlopiù di grandissime capitalizzazioni, si potrebbe immaginare che i flussi di acquisto derivino in gran parte da logiche basate sugli indici alimentate da fondi o algoritmi trend follower piuttosto che da un ottimismo diffuso degli investitori, fondamentali soprattutto.

In altre parole, la posizione di mercato che ne deriva potrebbe ribaltarsi molto velocemente se troppe notizie negative si dovessero accumulare. Negli Stati Uniti, in particolare, questo tipo di scenario potrebbe profilarsi data la necessità per la banca centrale di mantenere una politica monetaria restrittiva a fronte di una lenta disinflazione, unita al graduale deterioramento dei dati macroeconomici. Gli investitori ricorderanno che pochi alberi non possono nascondere la foresta a lungo.