Lo sviluppo delle forme pensionistiche italiane

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La Covip ha presentato la Relazione annuale per il 2022 in cui tratteggia un ritratto evolutivo della previdenza complementare nel nostro Paese. Quali sono le principali evidenze? Alla fine del 2022, i fondi pensione in Italia sono 332 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 191 fondi pensione preesistenti.

Il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro. I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai PIP “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.

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Le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziari: un ammontare pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.
I contributi incassati nell’anno sono pari a circa 18,2 miliardi di euro. In tutte le forme pensionistiche complementari il flusso di contributi del 2022 è risultato in crescita rispetto al 2021: ne sono affluiti 6,1 miliardi ai fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi ai fondi aperti (+7,8%), 5 miliardi ai PIP (+2,4%) e 4,1 miliardi ai fondi preesistenti (+1,5%).

Gli iscritti che nell’anno 2022 hanno effettuato o comunque ricevuto contribuzioni sulle proprie posizioni sono circa 6,7 milioni, pari a circa i tre quarti del totale. I loro contributi ammontano mediamente a 2.770 euro.

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Gli iscritti non versanti (o per i quali comunque non sono stati effettuati versamenti), pari a circa 2,5 milioni, sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi. Una parte cospicua è però anche costituita da lavoratori dipendenti iscritti a fondi pensione negoziali con modalità contrattuale, con particolare riguardo ad ambiti, come il settore edile, il cui bacino è caratterizzato da elevata discontinuità occupazionale.

Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,6 miliardi di euro e in rendita per 440 milioni di euro. I riscatti sono pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,3 miliardi di euro. Nell’anno sono stati erogati circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più concentrati nei fondi pensione preesistenti.

L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi interni) registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio: il 15,4% sono titoli del debito pubblico italiano. In calo al 20% i titoli di capitale (rispetto al 22,6% del 2021) e anche le quote di OICR, passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano al 6,5%. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa l’1,9% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2021.

I comparti azionari hanno registrato perdite in media pari all’11,7% nei fondi negoziali, al 12,5 nei fondi aperti e al 13,2 nei PIP. Per le linee bilanciate i rendimenti medi sono stati negativi in tutte le forme pensionistiche: 10,5% nei fondi negoziali, 11,5 nei fondi aperti e 12,3 nei PIP. Di importo non molto inferiore sono anche le perdite subite nell’anno dai comparti obbligazionari. Gli obbligazionari misti hanno perso il 10,3% nei fondi negoziali, il 7,6% nei fondi aperti; gli obbligazionari puri hanno registrato perdite del 3,5% nei fondi negoziali e del 10,9% nei fondi aperti.

Su un periodo di osservazione decennale (da fine 2012 a fine 2022), i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,7% e il 4,9%. Viceversa, le linee obbligazionarie mostrano rendimenti medi vicini allo zero; le linee bilanciate rendimenti medi che vanno dall’1,7% dei PIP di tipo unit linked al 2,7% dei fondi negoziali, al 2,9% dei fondi aperti. Il tasso di rivalutazione medio annuo del TFR è stato pari al 2,4%.

Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. Per i fondi pensione negoziali, su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è pari allo 0,47%. Per i fondi pensione aperti, esso è dell’1,35%. Per i PIP, lo stesso indicatore è in media del 2,17%.

Per le forme negoziali, il livello più contenuto dei costi dipende anche dalla dimensione dei fondi per effetto delle economie di scala generate dalla ripartizione degli oneri amministrativi. Per le forme di mercato, invece, incide presumibilmente la remunerazione delle reti di vendita.