Solare batte petrolio, Utility energetiche al centro della transizione
La transizione energetica è tra i capitoli più invadenti delle agende di governi e aziende per il prossimo decennio. Per soddisfare le ambizioni dell’accordo di Parigi e limitare il riscaldamento a 1,5˚C, il settore delle utility energetiche dovrà ridurre le proprie emissioni del 70-92% entro il 2035, spostando il mix energetico dalle centrali termiche tradizionali alle energie rinnovabili, prevalentemente solari ed eoliche. Un passo importante in questa direzione emerge dalla lettura dell’ultimo report dell’Energia Internazionale dell’Energia, che per la prima volta nella storia prevede un totale di investimenti in energia solare nel 2023 superiore agli investimenti complessivi per l’estrazione di petrolio.
Investimenti nella produzione di petrolio e nel solare – 2013 vs 2023 (in miliardi di $)
Per far sì che la transizione energetica possa dirsi conclusa, essa dovrà interessare in modo profondo il settore delle utility. Se si guarda al consumo energetico globale, le utility per la generazione di calore ed elettricità rappresentano la principale causa di emissioni di CO2, arrivando a pesare circa un terzo (il 32%) della produzione globale di Greenhouse Gases (GHG)[3]. Ecco perché, in un contesto di crescita della domanda verso servizi più green, le aziende d’avanguardia all’interno del settore dell’utility rappresentano un’opportunità unica per noi gestori attivi in grado di intercettare trend secolari quali la produzione di energia rinnovabile, lo stoccaggio energetico e le reti intelligenti.
Il percorso di transizione delle aziende che si dedicano all’erogazione e alla gestione dei servizi energetici non si esaurirà però nel limitare il peso delle emissioni di GHG, ma giocherà un ruolo cruciale nella decarbonizzazione di altri settori. Se contestualmente si realizzassero infatti la decarbonizzazione delle utility, l’elettrificazione dei trasporti su strada (che contribuisce al 13% delle emissioni totali) e l’ottimizzazione energetica del settore edilizio (pari al 6% delle emissioni totali, escludendo l’uso di elettricità per evitare un doppio conteggio) ciò porterebbe a una riduzione di almeno il 50%[4] delle emissioni GHG globali.
Nonostante gli importanti investimenti attesi, la decarbonizzazione delle utility non dovrebbe generare un effetto inflazionistico per i consumatori (da scaricare sui costi dell’energia), ma piuttosto il contrario. Nell’ultimo decennio, grazie a miglioramenti significativi nell’economia di scala e nell’efficientamento delle tecnologie eoliche e solari, le fonti rinnovabili sono diventate la fonte di energia più economica, con costi operativi inferiori a quelli delle centrali elettriche tradizionali in molte parti del mondo. In talune regioni, risulta infatti più conveniente costruire un nuovo impianto solare/eolico, che continuare a utilizzare le centrali tradizionali. Uno studio McKinsey stima che sarebbe già possibile raggiungere la decarbonizzazione del 50-60%[5] del sistema elettrico, praticamente senza costi aggiuntivi per la società e senza bisogno di ulteriori incentivi, a parte quelli determinati da un comportamento economico puramente razionale.
Complessivamente, il costo dell’energia green dovrebbe quindi diminuire e decorrelarsi progressivamente dalla volatilità dei prezzi di carbone, gas e petrolio al crescere della penetrazione delle rinnovabili, a vantaggio del consumatore finale.
Il calo dei costi dell’energia rinnovabile dovrebbe accelerare ulteriormente l’elettrificazione dell’economia e portare a cambiamenti significativi in altri settori, in primis l’aumento dei veicoli elettrici e l’ottimizzazione degli impianti di riscaldamento, con la graduale sostituzione delle stufe a gas con pompe di calore.
Consumo finale di energia ed emissioni di CO2 previsti negli edifici residenziali