In attesa della BCE mercati finanziari positivi malgrado le tensioni geopolitiche
Stiamo assistendo a numerosi eventi politici potenzialmente dirompenti ma con reazioni contenute sui mercati: in Corea del Sud, fallito il tentativo del presidente Yoon di imporre la legge marziale; in Siria la caduta del regime di Assad apre scenari incerti; in Francia, Macron lavora a un esecutivo di interesse nazionale dopo la caduta del governo Barnier; in Romania, l’annullamento del primo turno presidenziale; in Georgia, nuove proteste contro l’influenza russa.
Le aspettative di un taglio di 50 basis point da parte della BCE nella riunione di questa settimana sono via via diminuite, con i mercati che prezzano attualmente una riduzione dello 0,25%. La situazione rimane complessa, tra la debolezza dell’economia tedesca, le tensioni politiche in Francia, i rischi di dazi e la persistente pressione inflazionistica nei servizi. Gli economisti stimano il tasso sui depositi al 2% nel 2025, mentre i mercati, forse eccessivamente pessimisti, prevedono un terminal rate all’1,6%
Negli Stati Uniti, la pubblicazione di una serie di dati macroeconomici sostiene il mercato obbligazionario, mentre quello azionario continua a segnare nuovi record.
Negli Stati Uniti l’indice ISM dei servizi di novembre è sceso a 52,1, segnalando a sorpresa un netto rallentamento rispetto ai mesi precedenti, mentre il PMI sempre dei servizi, più in linea con la crescita effettiva di quest’anno, ha registrato solo un lieve calo a 56,1, suggerendo un PIL stabile nel quarto trimestre. I nuovi ordini sono diminuiti a 53,7, indicando un possibile rallentamento della domanda futura, nonostante il miglioramento nelle consegne dei fornitori. Anche la sottocomponente occupazione è scesa a 51,5, riflettendo una moderazione nelle assunzioni. Le imprese descrivono l’attività economica come normale ma rimangono caute, influenzate dall’incertezza sulle politiche tariffarie e fiscali dell’amministrazione entrante. Sebbene il settore dei servizi continui a sostenere l’economia, l’attesa riduzione della spesa e il congelamento delle assunzioni potrebbero preludere ad un rallentamento dell’economia.
A novembre, sono stati creati 227mila nuovi posti di lavoro non agricoli, interrompendo il trend di rallentamento delle assunzioni dell’ultimo periodo. I dati dei due mesi precedenti sono stati rivisti al rialzo di 56mila unità, rafforzando il quadro complessivo del mercato del lavoro. Questo risultato positivo potrebbe essere stato favorito dal ritorno alla normalità dopo che uragani e scioperi avevano frenato le assunzioni.
I salari sono aumentati dello 0,4% su base mensile e del 4,0% annuo, ma il tasso di disoccupazione è salito al 4,2% accompagnato dal calo del tasso di partecipazione, evidenziando fragilità in alcune metriche. Questi dati non ostacoleranno il probabile taglio dei tassi da parte della Fed nella riunione del 17-18 dicembre, ma rafforzano l’ipotesi di uno stop all’inizio del prossimo anno. Con una crescita salariale al 4,4% su base trimestrale annualizzata, la sfida per la Fed sarà mantenere un equilibrio tra il sostegno all’economia e il controllo dell’inflazione. Il dato sui prezzi al consumo di novembre in arrivo questa settimana sarà cruciale per le proiezioni future, con particolare attenzione all’inflazione dei servizi escluso il settore abitativo.
Il sentiment dei consumatori americani a dicembre, risultato dal sondaggio preliminare dell’Università del Michigan, dopo le elezioni presidenziali, ha toccato il livello più alto negli ultimi sette mesi a 74. L’aspetto particolare riguarda gli elettori: le aspettative sono salite di oltre 12 punti tra i repubblicani e hanno subito una flessione di 10 tra i democratici. I primi si aspettano un rallentamento dei prezzi, mentre i democratici temono i dazi e l’inflazione in aumento. L’entusiasmo post-elettorale tende però generalmente a durare solo 4-6 mesi.
L’OPEC+ ha deciso di rinviare al prossimo aprile l’aumento della produzione di petrolio, posticipando per la terza volta il piano di incremento previsto per gennaio. La decisione è stata motivata dalla debolezza del mercato, condizionata dal rallentamento economico cinese e dall’aumento delle forniture di Stati Uniti, Brasile e Canada. Sebbene il prezzo del Brent sia rimasto stabile, poiché la decisione era attesa, diversi analisti prevedono cali verso i 60 dollari nel prossimo anno, nonostante i tagli. Questo scenario comporta rischi economici per i membri dell’OPEC+, inclusi Arabia Saudita e Russia. La prossima riunione è fissata per il 28 maggio 2025, quando saranno rivalutate le dinamiche di mercato e le implicazioni politiche, comprese le decisioni di Donald Trump una volta insediato alla Casa Bianca.