UBS GWM CIO Monthly: Parte del gioco

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Tutti i presidenti degli Stati Uniti cominciano il proprio mandato promettendo grandi                                                                          cambiamenti. Questa volta, però, il volume, la portata e la rapidità degli ordini ese-
cutivi, nonché la scarsa ortodossia di alcune delle politiche proposte, generano più incertezza del solito.

In questo contesto, può essere molto rischioso non provare a immaginare cosa
potrebbe dire, fare o ottenere Donald Trump. La volatilità resterà probabilmente
elevata nei prossimi mesi, mentre i mercati analizzano un ventaglio più ampio di
potenziali scenari futuri.

Al tempo stesso, benché Trump sia in politica da oltre un decennio, è ancora diffi-
cile distinguere tra le sue tattiche negoziali e i reali obiettivi politici. Sia i detrattori                                                                                               che i sostenitori del presidente in carica rischiano di farsi trarre in inganno dalle
sue dichiarazioni. A nostro avviso, gli investitori devono rimanere ancorati ai dati
per cercare di separare la retorica dalla realtà e la distrazione dalla direzione.

I primi dati non sembrano corroborare le notizie sensazionalistiche sull’immigra-
zione, i tagli alla spesa e la politica estera. Ad esempio, nonostante le dure parole                                                                                      scambiate tra Trump e Zelensky, gli Stati Uniti continuano a negoziare con l’Ucraina
per raggiungere un accordo in materia di sicurezza.

In questa Monthly Letter analizziamo gli ultimi sviluppi a livello di politica commer-
ciale, interna ed estera degli Stati Uniti, le potenziali conseguenze per gli investitori                                                                                               nei mesi e negli anni a venire e le nostre raccomandazioni per il posizionamento dei
portafogli. Inoltre, presentiamo i nostri scenari d’investimento aggiornati, per aiutare                                                                                             gli investitori ad affrontare un ventaglio ancora ampio di potenziali sviluppi, e illu-
striamo le nostre previsioni sugli investimenti. Le nostre previsioni in diretta, con Q&A

In sintesi, l’economia statunitense sta entrando in questo periodo di maggiore
incertezza in buona salute. Crediamo che le misure intraprese finora non avranno
un impatto diretto significativo sulla crescita o sull’inflazione. Inoltre, la dinamica
sottostante di temi come l’intelligenza artificiale (IA) e l’elettrificazione dovrebbe
essere al riparo dalle iniziative già annunciate. E l’approccio del governo Trump,
che mira a imporre cambiamenti o a strappare concessioni in aree cruciali,
potrebbe schiudere opportunità a più lungo termine.

Ma con una definizione frettolosa delle politiche in tanti ambiti diversi diventa
sempre più difficile ignorare i rischi indiretti per la crescita. Inoltre, la volatilità ci
sembra destinata ad aumentare, a fronte del rischio di uno shutdown del governo
e dei rapporti sui dazi che dovranno essere consegnati nelle prossime settimane
dalle agenzie federali.

Per affrontare i prossimi mesi raccomandiamo di rimanere investiti sul mercato
azionario, privilegiando in particolare Stati Uniti, IA ed elettricità e risorse, ma
anche di coprire queste posizioni per gestire i rischi a breve termine. Consigliamo
inoltre di diversificare i portafogli includendo, ad esempio, obbligazioni di qualità,
oro e strumenti alternativi.

Ucraina
A gennaio Trump ha esortato Putin a porre fine all’invasione dell’Ucraina pena
nuove sanzioni, affermando: «Si può procedere con le buone o con le cattive». In
campagna elettorale aveva promesso di far cessare la guerra in un solo giorno.
Ma non è stato così e da allora il Presidente americano ha avviato negoziati diretti
con la Russia e attribuito all’Ucraina la responsabilità del conflitto. Nonostante le
dure parole scambiate tra Trump e Zelensky, nel momento in cui scriviamo sembra                                                                                               che Washington e Kiev abbiano stabilito le condizioni di un accordo di collabora-                                                                                             zione per lo sfruttamento delle risorse minerali dell’Ucraina, secondo una notizia pubblicata dal Financial Times.

Ci aspettiamo un aumento della volatilità dei mercati.

Sono in corso i negoziati per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.

A nostro parere, il governo americano punta a stringere accordi che strappano
concessioni finanziarie all’Ucraina (o all’Europa) in cambio del sostegno americano
per permettere a Trump di proclamare che nessun Paese «si approfitta» più degli
Stati Uniti. Crediamo che il Presidente americano preferisca questa soluzione
rispetto alla possibilità di ritirare del tutto il sostegno all’Ucraina e all’Europa in
materia di sicurezza.Nel nostro scenario di riferimento ci aspettiamo che entro fine anno venga firmato il
cessate il fuoco. Con ogni probabilità l’Ucraina dovrà cedere territori alla Russia, a fronte però di garanzie di                                             sicurezza e impegni per la ricostruzione da parte dell’Occidente (se non necessariamente degli Stati Uniti).

La Russia potrebbe negoziare unalleggerimento delle sanzioni e la ripresa parziale delle forniture di gas all’Europa,
anche se difficilmente queste torneranno ai livelli prebellici.

Un accordo di questo tipo potrebbe apportare modesti benefici all’economia euro-
pea, con un calo dei prezzi dell’energia e un miglioramento della fiducia dei con-
sumatori e delle imprese, ma comporterebbe anche un aumento dei costi pubblici.

Ad esempio, la spesa per la difesa potrebbe superare l’impegno precedentemente
stabilito per la NATO del 2% del prodotto interno lordo (PIL). Secondo le nostre
stime, per portare la spesa per la difesa di 21 Paesi europei ad almeno il 3% del
PIL sarebbero necessarie maggiori entrate totali per 230 miliardi di euro (contro
75 miliardi per raggiungere il 2%).

Per gli investitori, una tregua duratura potrebbe rappresentare un catalizzatore posi-
tivo per l’azionario europeo. In particolare, i materiali edili e le società industriali                                                                                      dovrebbero beneficiare dei programmi di ricostruzione. Sui mercati obbligazionari, lo
spread dei titoli di Stato dei Paesi più esposti a un’escalation con la Russia potrebbe
diminuire a seguito di un armistizio. Un cessate il fuoco farebbe anche migliorare il
sentiment degli investitori nei confronti dell’euro. Infine, i titoli di alcune società
della difesa potrebbero beneficiare dei maggiori investimenti in sicurezza.

Nel nostro scenario di riferimento ci aspettiamo che entro fine anno venga firmato il cessate il fuoco.

Ovviamente non sarà facile mettere d’accordo Ucraina, Europa e Russia sulle condi-
zioni di una tregua. Per questo motivo ci sembra improbabile che la fine del conflitto                                                                                            sia imminente. Inoltre, data la robusta performance registrata di recente da diversi
strumenti europei, anche grazie all’ottimismo per una potenziale sospensione delle
ostilità a breve termine, consigliamo di prepararsi a questi scenari facendo ricorso a
strategie strutturate, se possibile, anziché tramite posizioni dirette.

Politica interna

Le promesse fatte in campagna elettorale includevano la «più grande riduzione nor-
mativa nella storia del nostro Paese», «tagli massicci delle tasse per i lavoratori e le                                                                                         piccole imprese», «eliminare gli sprechi dal bilancio della nostra grande nazione»,
nonché misure senza precedenti per affrontare l’immigrazione clandestina.

Che queste politiche siano giuste o sbagliate per il Paese dipende probabilmente
dall’orientamento politico delle singole persone. Che siano giuste o sbagliate per i                                                                                         mercati dipenderà probabilmente dal fatto che la speranza riposta nella deregola-
mentazione e nei tagli delle tasse prevalga sui timori circa i potenziali effetti nega-
tivi di un inasprimento delle politiche migratorie, di un aumento dei dazi e dei tagli alla spesa pubblica.

Allo stato attuale ci sembra importante fare due considerazioni. Da un lato, le                                                                                                  misure annunciate non dovrebbero avere un impatto diretto significativo sulla cre-
scita, l’inflazione o il deficit (o sugli obiettivi dichiarati delle politiche di governo).

Dall’altro, gli eventuali effetti di secondo ordine o un’implementazione frettolosa
potrebbero danneggiare la crescita e spingere al rialzo l’inflazione.

Prendiamo ad esempio i tagli alla spesa pubblica: a seguito di varie misure il
numero di dipendenti federali potrebbe diminuire di diversi punti percentuali, che
però corrispondono soltanto allo 0,1% della forza lavoro nell’intera economia,
con un impatto complessivo limitato sull’occupazione, il PIL o la spesa pubblica.

Tuttavia, ci sono diverse indicazioni che questo programma potrebbe avere impatti                                                                                      negativi, se attuato in maniera affrettata. Ad esempio, la stampa ha messo in evi-
denza che è un errore licenziare dipendenti attivi nella prevenzione della diffusione                                                                                         dell’influenza aviaria o perfino addetti alla deterrenza nucleare.

Inoltre, l’inasprimento dei controlli alle frontiere e la retorica ostile potrebbero fre-
nare l’immigrazione e impedire l’arrivo di manodopera. Ridurre la disponibilità di                                                                                        lavoratori con l’economia in piena occupazione potrebbe far salire i salari e, poten-
zialmente, l’inflazione.

D’altro canto, le misure fiscali potrebbero stimolare la crescita meno del previsto.

Una proroga del Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) eviterebbe di dover aumentare le
tasse, ma di per sé non rappresenta comunque una manovra espansiva e in ogni
caso rischia di non essere approvata a causa della fuoriuscita di parlamentari
dall’House Freedom Caucus. Ci sembra altresì improbabile che il Congresso approvi

Le promesse di Trump vertono su deregolamentazione, tagli delle tasse e riduzione della spesa pubblica.

Il governo Trump sta prendendo misure per ridurre il numero di dipendenti federali.
ulteriori tagli delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle imprese. Nel
momento in cui scriviamo, la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore di una
delibera di bilancio che, di fatto, si limita a rinviare una decisione difficile sui tagli
delle tasse e sulla spesa pubblica.

Infine, le forti divisioni politiche accrescono il rischio di eventi imprevisti legati                                                                                 all’approvazione del bilancio e al tetto del debito. A breve termine si profila all’o-rizzonte uno                                                                  shutdown del governo a metà marzo se, come sembra probabile, non verrà raggiunto un accordo                                                               bipartisan sul finanziamento dell’attività federale,
e l’estate potrebbe portare con sé un altro stallo prolungato legato al tetto del debito.

In linea di massima l’economia dovrebbe riprendersi velocemente una volta ripar-
tito il finanziamento, dato che la maggior parte dei dipendenti pubblici continuerà                                                                                                   a percepire lo stipendio (anche se in ritardo). Lo shutdown del governo federale
più lungo, pari a 35 giorni, si è verificato durante la prima amministrazione Trump
e ha ridotto di 0,2 punti percentuali la crescita del primo trimestre 2019, secondo
le stime del Congressional Budget Office.

In questo contesto conviene rimanere investiti, ma consigliamo anche di valutare
approcci di copertura sulle azioni statunitensi, in particolare con l’avvicinarsi di un
potenziale shutdown e della scadenza del 1° aprile entro la quale agenzie federali
dovranno presentare le loro raccomandazioni per la politica commerciale.

Dazi doganali

Dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca si sono susseguite le minacce di tas-
sare le importazioni di prodotti di determinate categorie o Paesi. Sono stati propo-
sti dazi nei confronti di Canada, Messico e Cina (anche se finora sono stati attuati                                                                                                solo questi ultimi, con la minaccia di incrementarli ancora del 10%). Nel momento                                                                                                   in cui scriviamo il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che il 4 marzo entre-
ranno in vigore tariffe del 25% contro Canada e Messico. Inoltre, le tasse sull’im-
portazione di acciaio, alluminio e alcuni prodotti in metallo saranno aumentate al 25%, forse già da marzo.

Trump ha anche incaricato la sua amministrazione di studiare la possibile imposi-
zione di dazi reciproci sui prodotti di Paesi che applicano barriere commerciali ai                                                                                          prodotti statunitensi. È importante notare che il governo considera l’imposta sul
valore aggiunto (IVA) come una barriera non tariffaria (anche se in genere viene
applicata a tutti i prodotti, indipendentemente dalla loro provenienza) e ciò
potrebbe ampliare la portata e l’entità dei potenziali dazi reciproci. Le agenzie
federali dovranno riferire alla Casa Bianca entro il 1° aprile.
Ci aspettiamo che dopo tale scadenza la minaccia di nuove tariffe graverà sulla
maggior parte dei Paesi. Tuttavia, in molti casi verranno probabilmente sottoscritti
accordi che limiteranno la portata e l’entità complessiva dei dazi.

Persiste il rischio di shutdown del governo federale.

L’amministrazione Trump ha minacciato di imporre dazi nei confronti di vari Paesi e settori.

Alcuni Paesi sembrano disposti a fare concessioni per evitare i dazi statunitensi.                                                                                                     Ad esempio, l’Unione europea ha offerto in via preventiva di abbassare le tasse sull’impor-
tazione di auto americane nell’ambito di un accordo che prevede anche un aumento                                                                                         degli acquisti di gas naturale liquefatto (LNG) e di attrezzature per la difesa. Dopo un
incontro con il Primo ministro indiano, inoltre, Trump ha dichiarato che i due Paesi
lavoreranno per ridurre i «dazi molto elevati» applicati dall’India e firmare accordi per
l’acquisto di petrolio, gas e aerei da combattimento americani. Anche i governi di
Canada e Messico si sono dimostrati disposti a negoziare, dopo che a gennaio Trump                                                                                              li ha minacciati di introdurre nuove tariffe, e ci aspettiamo che entrambi i Paesi rag-
giungano «accordi» per non essere colpiti da dazi duraturi e di ampia portata.

Crediamo che lo stesso Trump sia interessato a negoziare «accordi», soprattutto
perché le controparti appaiono pronte a fare concessioni e una mancata intesa
rischierebbe di mettere in pericolo l’attività economica degli Stati Uniti. Gli sviluppi
sul fronte dei dazi doganali indicano che, almeno per ora, il governo americano
intensifica le minacce per poi mitigarle o ritirarle.

Nel nostro scenario di riferimento ci aspettiamo che le tariffe contro la Cina vengano                                                                                  aumentate portandole a un’aliquota effettiva media del 30% entro il secondo seme-
stre. Ci attendiamo anche dazi selettivi nei confronti dell’Europa e interventi mirati a                                                                                      limitare i trasbordi nei trasporti internazionali. Ma non ci aspettiamo dazi elevati, di
ampia portata e duraturi nei confronti di Canada o Messico. A nostro avviso, un simile                                                                                  scenario non dovrebbe avere un impatto diretto significativo sulla crescita o sull’infla-
zione statunitense.

Diversi Paesi hanno offerto concessioni per evitare i dazi statunitensi.

Nel nostro scenario di riferimento non ci aspettiamo dazi elevati, di ampia portata e duraturi nei con-
fronti di Canada o Messico.

Tuttavia, come nel caso della politica interna, anche in presenza di impatti diretti
limitati gli investitori dovranno monitorare il rischio legato agli effetti di secondo
ordine per la crescita. Ad esempio, le ripetute minacce di aumenti tariffari nei
confronti dei principali partner commerciali e la scarsa visibilità sulle politiche di
governo potrebbero pesare sugli investimenti aziendali e sulle assunzioni anche
se alla fine non venissero introdotti nuovi dazi. Inoltre, le imprese americane
potrebbero subire danni se l’accesa retorica spingesse gli altri Paesi a comprare                                                                                                     da produttori locali o a boicottare le merci statunitensi, laddove esistono pro-
dotti alternativi o sostituti accettabili.

Scenari
Il nostro scenario di riferimento prevede una «crescita nonostante i dazi». Probabilmente
l’economia statunitense va incontro a una moderazione rispetto all’anno scorso, ma ci
aspettiamo comunque un’espansione del PIL di circa il 2% nel 2025. Ci attendiamo
ancora che la Federal Reserve (Fed) effettui due tagli dei tassi da 25 punti base (pb) nel
corso di quest’anno, a giugno e a settembre, a fronte del graduale raffreddamento
dell’inflazione. In questo scenario ci aspettiamo un calo dei rendimenti dei Treasury a 10
anni al 4,0% entro fine anno e un rialzo delle azioni statunitensi di circa il 10%.

In uno scenario positivo, la crescita statunitense potrebbe mantenersi intorno al
2,5% e l’inflazione in area 2-3%, mentre eventuali sorprese positive sul fronte                                                                                                      delle politiche e il continuo ottimismo per l’IA darebbero ulteriore impulso ai mer-
cati azionari. In questo scenario, i rendimenti dei Treasury a 10 anni potrebbero salire al 5,25% e                                                                            le azioni statunitensi di circa il 18%.

Vediamo due possibili scenari negativi.
In uno scenario di «shock dei dazi», con una politica commerciale troppo aggressiva
che introduce tariffe di ampia portata e durature nei confronti di Canada e Messico, i
mercati azionari e obbligazionari sarebbero penalizzati a fronte di una riduzione delle
previsioni di crescita e di un aumento delle attese inflazionistiche. In tal caso, la Fed e
altre banche centrali globali potrebbero decidere di rinviare i nuovi tagli dei tassi per                                                                                      gestire le aspettative d’inflazione e i premi al rischio aumenterebbero. Inoltre, i rendi-
menti dei Treasury a 10 anni salirebbero al 5,0% e le azioni statunitensi scenderebbero di circa il 15%.

In uno scenario di «atterraggio duro», con una battuta d’arresto dell’economia
americana causato da un improvviso rallentamento della spesa al consumo, sia la                                                                                          crescita che l’inflazione diminuirebbero e i tassi d’interesse verrebbero tagliati velo-
cemente nell’intento di sostenere la domanda. In questo scenario ci aspettiamo un                                                                                              calo dei rendimenti dei Treasury a 10 anni al 2,5% e un ribasso delle azioni globali di circa il 25%.