I fondi “etici”, guida alla scelta

redazione - redazione@lamiafinanza.it -

Sono il prodotto di investimento più semplice e accessibile. Ma non sono tutti uguali. Vediamo perché

I fondi comuni “etici” sono lo strumento più semplice, accessibile e, se ben gestito, efficiente, per investire secondo i principi della responsabilità sociale (Sri).

Sul mercato italiano esistono numerosi prodotti che possono essere definiti etici, con differenze molto marcate tra uno e l’altro. Innanzitutto, come accade per i fondi comuni di investimento “normali” si distinguono in base alla tipologia dei titoli in cui investono: ci sono fondi azionari, bilanciati, obbligazionari, e all’interno delle varie categorie si possono distinguere specializzazioni differenti, per esempio per quanto riguarda l’area geografica di riferimento (Italia, Europa, mondo…).

Molti fondi, poi, adottano una strategia di gestione prevalentemente passiva: scelgono cioè un “benchmark”, un indice di riferimento etico (a livello internazionale si può trattare del Dow Jones Sustainability Index o del Ftse4Good; sul mercato italiano degli indici Ftse Ecpi Italia Sri della Borsa di Milano). Il loro obiettivo è quindi quello di replicare, e replicano in maniera quasi fedele la composizione di un indice elaborato da altri.

Altri hanno una gestione più attiva: il gestore effettua cioè le sue scelte senza guardare ai benchmark, ma sulla base delle sue preferenze e strategie. Spesso, in questo caso, le decisioni di investimento sono prese in rispondenza con le linee guide stabilite da un apposito comitato etico, che definisce i criteri di esclusione, o di inclusione, di titoli e imprese.

Tra i fondi etici non vanno, a nostro avviso, compresi i cosiddetti fondi “solidali”, che devolvono parte dei ricavi o delle commissioni a varie forme di beneficienza: ottime iniziative, che poco hanno a che fare, però con la filosofia dell’investimento socialmente responsabile.