Monete virtuali: oltre i bitcoin

di Rosaria Barrile -

La possibilità offerta dalla tecnologia “blockchain” di collegare il mondo virtuale agli investimenti reali, ha attirato molte grandi banche tra cui anche Intesa Sanpaolo e Unicredit

Anche se rappresentano circa il 75% del mercato, i bitcoin non sono l’unica moneta virtuale o “cripto moneta” esistente. Anche se per ora non hanno rivoluzionato il mondo dei pagamenti, come si ripromettevano di fare, il fenomeno sta continuando a suscitare l’interesse di banche ed economisti.

Allo stato attuale, subito dopo il bitcoin per diffusione si collocano i Ripple, Litecoin, Ethereum, Dash, Dogecoin, PeerCoin, BitShares, Stellar, MaidSafeCoin. Ma se si scorre la classifica elaborato dal sito coinmarketcap.com, su cui è possibile verificare sia la loro diffusione, sia qual è il valore di mercato ad esempio rispetto al dollaro, si arriva a contarne fino a 100. In Europa per ora però l’atteggiamento delle banche è all’insegna della cautela: l’Associazione Bancaria Europea ha invitato i regolatori nazionali a scoraggiare le banche dal comprare, vendere e detenere bitcoin, un invito accolto anche dalla nostra Banca d’Italia.

Nonostante queste raccomandazioni, molte istituzioni finanziarie, pur tenendosi alla larga dalla moneta bitcoin in quanto tale, sembrano interessate alla tecnologia “blockchain” che vi sta dietro e che permetterebbe di risolvere alcune questioni legate al modo in cui oggi sono regolate le transazioni da una banca all’altra, in particolare sul fronte dei pagamenti e degli investimenti.

In sintesi, quando si parla di blockchain, i “tecnici” del settore (a metà strada tra gli economisti e gli ingegneri informatici) intendono la creazione di “mattoncini”, ovvero blocchi di monete virtuali.

Per semplificare, basti pensare che le transazioni in bitcoin sono accorpate in blocchi. Ogni nuovo blocco di transazioni è trascritto in un registro, pubblico e distribuito, nel senso che non è depositato presso alcuna autorità centrale, organizzato come una catena ordinata di blocchi. Questo registro pubblico distribuito viene chiamato blockchain, anche se spesso il termine viene usato in senso più ampio per indicare l’insieme della tecnologia sottostante la moneta bitcoin. La tecnologia blockchain in pratica regola il trasferimento da un punto all’altro del web della proprietà di un “gettone digitale” a cui possono essere associati svariati beni o diritti del mondo cosiddetto reale: azioni, obbligazioni, immobili, auto, diritti di voto, ecc.

Ed è proprio la possibilità di legare questo mondo virtuale agli investimenti reali, favorendo le transazioni in tempo reale (diversamente da quanto avviene oggi date le procedure che regolano i flussi tra una banca e l’altra, ndr), che avrebbe attirato molte società finanziarie. Oltre 40 tra le più grandi banche del mondo si sono unite nel progetto della start up newyorkese R3 che intende risolvere alcuni problemi legati alla tecnologia e che investono la sicurezza delle operazioni in quanto tali. Sotto accusa infatti vi sarebbe in primis l’aspetto legato all’anonimato garantito dalla transazioni, che permettere di aggirare le normative nazionali e il fisco favorendo il finanziamento di attività illecite.

Il progetto quindi è quello di creare un protocollo in grado di funzionare come base condivisa e regolata per le operazioni delle banche interessate. Secondo le previsioni le prime soluzioni commerciali potrebbero vedere la luce già nel 2016. Ad aderire all’iniziativa vi sono, tra gli altri, le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo, e tra i big della finanza internazionale Credit Suisse, Bnp Paribas, Ubs, Morgan Stanley, Deutsche Bank, JP Morgan, Goldman Sachs