Ocse: l’Italia deve ridurre la spesa per le pensioni

di Rosaria Barrile -

A rischio la sostenibilità finanziaria del sistema, che peraltro non garantisce una rete di sicurezza per chi non avrà i contributi minimi

Aumenta il rischio povertà per i pensionati del futuro. Secondo l’Ocse, le recenti riforme attuati da molti paesi europei hanno reso i sistemi pensionistici molto più sostenibili, dal punto di vista finanziario, rispetto al passato, ma le generazioni future avranno pensioni molto meno generose di quelle attuali.

Nel suo rapporto “Pensions at a glance 2015”, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha analizzato la situazione dei sistemi pensionistici dei 34 paesi aderenti.

Per quanto riguarda l’Italia, nonostante le riforme avviate negli ultimi anni e la crescita prevista dell’età pensionabile, “la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico richiede ulteriori sforzi negli anni a venire“. La nostra spesa pubblica per la previdenza nel 2013 è stata il 15,7% del Pil, quasi il doppio rispetto alla media Ocse (8,4%) e la più alta dopo la Grecia.

Secondo l’Ocse, inoltre, la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della perequazione delle pensioni pari a oltre tre volte il minimo nel 2012-2013, e i rimborsi parziali decisi dal Governo “avranno un impatto sostanziale sulla spesa pubblica” e “nel breve periodo ulteriori risorse sono necessarie per ridurre al minimo l’impatto della sentenza”.

Dall’altra parte, tuttavia, se si guarda al lungo periodo la spesa complessiva per le pensioni rispetto al Pil è destinata a diminuire. “La rapida transizione verso il sistema contributivo di tutti i lavoratori dal gennaio 2012, l’aumento dell’età del pensionamento e la sua equiparazione per uomini e donne permetteranno, secondo le proiezioni del gruppo di lavoro sull‘invecchiamento dell’Unione Europea, di ridurre, all’orizzonte 2060, la spesa pubblica per pensioni di circa 2 punti di Pil rispetto ad una riduzione media di 0.1% nell’Unione Europea”.

Si conferma invece particolarmente elevato nel nostro paese il peso dei contributi previdenziali sulla retribuzione: i contributi sul lavoro dipendente in Italia sono i più alti in Europa e sono pari al 33% sulla retribuzione, il 23,81% per l’impresa, il 9,19% per il lavoratore. Dopo l’Italia i contributi più alti sono in Svizzera, con il 26,6% (in Finlandia sono al 24,8% e in Francia al 21,2%).

Tra gli altri primati negativi, nel nostro paese il passaggio ad un sistema di tipo contributivo è stato accompagnato dall’eliminazione della pensione integrata al minimo, lasciando unicamente una prestazione assistenziale come rete di sicurezza per i pensionati futuri. Per l’Ocse il valore della rete di sicurezza è però relativamente basso: gli individui senza contributi previdenziali riceveranno il 19% del salario medio rispetto al 22% in media nei paesi Ocse.

L’Italia inoltre registra una delle maggiori riduzioni dell’assegno pensionistico nel caso in cui il contribuente interrompa la carriera lavorativa e non percepisca la retribuzione per un periodo di cinque anni (così come avviene in Germania, Israele, l’Islanda, il Messico e il Portogallo), mentre le pensioni non subiscono alcuna riduzione in queste circostanze in quasi un terzo dei paesi dell’Ocse. Nel caso dei lavoratori a basso reddito, il taglio della pensione sarà del 10%, nel caso di un ingresso sul mercato del lavoro ritardato di cinque anni, rispetto al 3% in media nell’Ocse. Perdite simili si riportano per le interruzioni legate alla cura dei figli e alla disoccupazione.

Per porre rimedio a queste inefficienze del nostro sistema pensionistico, l’Ocse si spinge a formulare alcuni suggerimenti. Per evitare le ricadute negative dalle interruzioni lavorative sull’assegno pensionistico occorre promuovere carriere complete e maggiori possibilità di accesso al mercato del lavoro, mentre per scongiurare il rischio povertà in tarda età, occorre favorire una maggiore conoscenza degli individui in merito alla loro pensione attesa e alle fonti alternative di reddito da pensione disponibili.