Professionisti, quando il contributo è d’obbligo

di Rosaria Barrile -

Una nuova sentenza del Tribunale di Bari allarga di fatto il numero di situazioni in cui il versamento è dovuto alla rispettiva cassa previdenziale

Brutta notizia per tutti i professionisti, che per “arrotondare” i compensi, si dedicano anche ad altre attività oltre a quella libero professionale per cui sono iscritti alla rispettiva cassa di previdenza.

Il Tribunale di Bari (sentenza n. 4776/2015) ha di fatto ampliato l’ambito per qualificare le attività professionali come redditi soggetti alla contribuzione. Nonostante il giudice si sia espresso sul caso specifico di un ingegnere che contestava la richiesta di pagamento da parte di Inarcassa, il principio contenuto nella sentenza è infatti valido per tutte le categorie professionali, dagli avvocati ai commercialisti, dai giornalisti ai medici.

Secondo il giudice pugliese, la definizione di “redditi professionali” deve essere sempre intesa in senso ampio e quindi deve ricomprendere tutte quelle attività “comunque indirettamente riconducibili ad essa”.

Come più volte affermato anche da precedenti pronunce, non è necessario che le attività in questione siano riservate al professionista. Basta infatti, giuridicamente, un “nesso” per rendere quei redditi assoggettati alla contribuzione presso la Cassa di appartenenza. Esiste un nesso se per svolgere queste attività sono comunque necessarie le stesse conoscenze tecniche abitualmente utilizzate dal professionista.

Questo significa che nella fattura per la prestazione svolta, il professionista deve indicare anche il contributo dovuto all’ente previdenziale.

Nel caso preso in esame, un ingegnere aveva emesso una fattura per un servizio svolto senza inserire la percentuale dovuta a Inarcassa, la Cassa Nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti.
Inarcassa aveva quindi emesso una cartella di pagamento, contro la quale, però, il professionista si era opposto affermando che i pagamenti percepiti non si riferivano alla sua attività d ingegnere.
Il Tribunale di Bari ha dato ragione a Inarcassa spiegando che il concetto di “esercizio della professione” non deve essere interpretato in senso statico e rigoroso perché è necessario tenere conto dell’evoluzione subita dalle specifiche competenze rispetto agli anni in cui sono state regolamentate le professioni.

Ma a questo punto viene da chiedersi: quando nel concreto non si deve calcolare il contributo dovuto alla Cassa di previdenza? Secondo il Tribunale di Bari, l’obbligo contributivo scatta in ogni caso in cui sia “ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista”.