Etica negli affari, l’Italia fa passi indietro

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Secondo un’indagine europea, fra il 2012 e il 2015 la situazione è peggiorata nel nostro paese. Dove pesa l’assenza di strumenti per il whistleblowing

Un crollo della “business ethics”, l’etica negli affari, misurata attraverso indicatori quali la presenza di un codice etico aziendale, o di programmi formali di etica aziendale. L’Italia, negli ultimi tre anni, sembra avere fatto seri passi indietro sul fronte della etica nel mondo degli affari, secondo la ricerca “Ethics at work”, realizzata dell’Ibe – Institute of Business Ethics, e presentata a Milano, con l’organizzazione di Fondazione Sodalitas.

Sono meno della metà (il 47%) i lavoratori che hanno la percezione che la propria organizzazione adotti un Codice Etico, contro l’86% nel Regno Unito, ed è diminuita, tra il 2012 e il 2015, la consapevolezza dell’esistenza di programmi formali di etica aziendale (-21%).

In calo inoltre la percentuale di dipendenti convinti che l’onestà sia praticata sempre o frequentemente nella propria azienda (73% nel 2015 contro l’86% del 2012), mentre aumentano i dipendenti consapevoli dell’esistenza di condotte improprie nella propria organizzazione (32% contro il 27% del 2012).

L’Ibe, fondato nel 1986 nel Regno Unito per promuovere l’etica nel mondo degli affari, ha realizzato la sua ricerca intervistando un campione di 750 lavoratori appartenenti a organizzazioni di vario tipo, in Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Italia.

L’Italia – per diffusione, applicazione ed efficacia percepita degli strumenti di Business Ethics – è allineata ai Paesi dell’Europa continentale, affermano gli autori della ricerca, ma il divario nei confronti del Regno Unito è molto accentuato.

Nel nostro paese, inoltre, solo quattro lavoratori su dieci, secondo l’indagine, si preoccupano delle conseguenze prodotte dalle condotte improprie della propria azienda. E il 15% avverte pressioni a violare gli standard etici della propria organizzazione: un dato significativamente più alto rispetto a quelli degli altri paesi analizzati.

Ii lavoratori della Pubblica Amministrazione e del Terzo settore percepiscono l’esistenza di comportamenti non etici più frequentemente rispetto ai lavoratori delle imprese private.

“La crisi spinge chi ha ruoli di responsabilità nelle organizzazioni ad aumentare la pressione sui collaboratori per raggiungere i risultati”, osserva Lorenzo Sacconi, ordinario di politica economica presso l’Università di Trento e direttore del centro inter-universitario EconomEtica. “La sfiducia generata da eventi come Mafia Capitale, associata ad un maggior senso di precarietà e insicurezza verso il futuro, contribuiscono ulteriormente a ridurre l’attenzione verso la dimensione dell’etica, in tutte le organizzazioni”.

L’Institute of business ethics ha presentato inoltre un’altra ricerca (alla quale Fondazione Sodalitas ha contribuito per l’Italia) riguardante la diffusione del “whistleblowing” in cinque paesi europei. Si tratta di sistemi introdotti dalle stesse aziende, che permettono ai dipendenti di segnalare, con la garanzia della protezione della fonte, eventuali comportamenti interni all’organizzazione che non siano coerenti con i valori aziendali.

Il 46% delle imprese europee, e ben l’86% di quelle del Regno Unito, ha introdotto sistemi di “whistleblowing” (o “speak up”). In Italia lo strumento è molto meno diffuso, e si attende l’approvazione di una specifica proposta di legge in materia (la 1751/2013).

La ricerca indica una correlazione diretta tra la disponibilità di strumenti come il whistleblowing e la percezione positiva dei lavoratori rispetto all’impegno etico dell’organizzazione di appartenenza a incentivare comportamenti corretti e sanzionare quelli impropri.

Tra le violazioni segnalate attraverso il whistleblowing, nei cinque paesi analizzati, le più frequenti sono le molestie (51%), le questioni legate alla gestione delle risorse umane (41%), le frodi e i furti (37%), situazioni legate a salute, sicurezza, ambiente e prevenzione (20%), corruzione e conflitto d’interessi (15%).

Il 72% dei sistemi adottati garantisce l’anonimato delle segnalazioni (in Italia ci si ferma al 66,7%).

I sistemi di whistleblowing prevedono quasi sempre policy anti-rappresaglie per chi fa segnalazioni (90%); quelli più evoluti prevedono anche processi di monitoraggio dell’assenza di rappresaglie, ma in Italia questo non è mai stato rilevato.