La “Fed Put” attenua i rischi del Coronavirus

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Il Coronavirus è l’argomento sulla bocca di tutti. Inizialmente i mercati hanno reagito con timori recessivi, ma sono davvero loro il problema? Noi non la pensiamo così: la “Fed Put” è ancora pienamente in corso, e questo limita il calo dei mercati azionari così come l’eventuale ripresa della volatilità. Riteniamo invee che l’inflazione sia il fattore più preoccupante. In prima istanza, le misure di quarantena adottate potrebbero spingere gli indici dei prezzi alla produzione al rialzo, per poi produrre ricadute sui prezzi al consumo. Il nostro overweight su energetici e azionario riflette i diversi fattori legati a macro, sentiment e valutazioni attualmente in corso.

Dallo stress di mercato al rischio macro

Le fasi ribassiste che abbiamo vissuto negli ultimi cinque anni sono state il risultato di shock a breve termine che, nel nostro processo di investimento, chiamiamo “stress di mercato”. Non si tratta né di periodi di recessione, né di shock inflazionistici, ma semplicemente di periodi con rendimenti negativi per gli asset di crescita. Tra questi vi sono il rallentamento cinese nell’estate del 2015, i timori infondati di una recessione negli Stati Uniti nel gennaio 2016, il referendum sulla Brexit nel giugno 2016, l’implosione della volatilità di mercato nel febbraio 2018 e i timori recessivi di fine del 2018. Nessuno di questi casi è stato accompagnato da una contrazione del PIL. Nell’ottobre 2018, la flessione del mercato è stata accompagnata da un breve shock inflazionistico, ma non è durata e le pressioni inflazionistiche sono rapidamente svanite: si è trattato semplicemente di un altro periodo di stress di mercato.

Monitoriamo questi elementi attraverso “panieri” di asset. In media, nel corso di questi diversi casi, la performance del paniere “stress di mercato” è stata 1,4 volte migliore di quella del paniere recessivo. L’importante rapporto Sharpe obbligazionario (che indica una recessione) è stato guidato dalla performance degli asset di copertura a breve termine (stress di mercato), tra cui il VIX, lo spread TED e il tasso di cambio dello JPY rispetto all’AUD.

L’attuale situazione del Coronavirus rappresenta una minaccia diversa: cercando di contenere il virus, la Cina sta danneggiando la sua economia. Ad oggi, è impossibile misurare con precisione l’entità del danno, e questo è ciò che spiega il recente aumento della volatilità. I mercati stanno cercando di dare un prezzo all’incertezza, ma non al rischio che questo periodo di fluttuazioni legate ai cambiamenti del sentiment diventi un periodo di rischio macro, recessivo o inflattivo. Quali sono dunque i rischi?

Verso un rischio di recessione?

È difficile stabilire la portata del rischio di una recessione cinese e il suo impatto sul rischio di crisi globale. E questo per una buona ragione: la situazione economica in Cina negli ultimi mesi è stata piuttosto buona. Il nostro Chinese Growth Nowcaster ha indicato una crescita leggermente al di sotto del potenziale, nell’ordine del 4,5-5,5%, trainata dal mercato immobiliare, dai consumi e dal commercio estero. Siamo lontani dal 7% di cinque anni fa, ma la situazione rimane sufficientemente accettabile. Anche l’indice di sorpresa economica di Citi, relativamente alla crescita cinese indica un’economia sorprendentemente al rialzo: questo è diventato positivo il 3 dicembre e da allora è in crescita. Si prevede che le misure di quarantena avranno un’influenza negativa sull’economia della Cina, ma su una scala difficile da misurare. Alcuni indicatori offrono però un quadro più chiaro: l’indice Baltic Dry, che misura l’intensità del commercio internazionale, ha registrato un calo simile al rallentamento del quarto trimestre del 2018, scendendo da 1.500 a 500 punti contro i 1.700-700 del 2018. I titoli delle compagnie aeree cinesi hanno visto le loro valutazioni ridursi del 13% in un mese e del 10% in un trimestre. La domanda petrolifera globale è diminuita del 5% negli ultimi 30 giorni ed è stimata in calo da 20 a 18 milioni di barili al giorno. Anche il World Uncertainty Index è cresciuto a dicembre. La situazione è seria: il declino del commercio internazionale e del consumo di petrolio lascia poco spazio a dubbi. Dalla metà di dicembre, la produzione industriale cinese ha subito un rallentamento paragonabile a quello del quarto trimestre del 2018. Il consenso tra gli economisti lo stima al + 5,3% annualizzato nel primo trimestre, contro il + 5,9% del trimestre precedente, senza alcun calo dei consumi. Il rischio 2019-nCoV è chiaramente sottovalutato dall’economista medio, ma – fondamentalmente – non siamo preoccupati.

Fed Put, sempre Fed Put

La ripresa del rally azionario suggerisce che anche il sentiment di mercato sottostima questo rischio, ma perché? Riteniamo che la politica monetaria globale abbia qualcosa a che fare con questo: la famosa Fed Put. La Banca Popolare Cinese (PBOC) sta fornendo liquidità e spingendo al ribasso i tassi interbancari, nonostante il tasso repo a 7 giorni sia sceso di quasi 45 punti base. Il vice governatore della PBOC, Pan Gongsheng, ha aggiunto che anche i tassi a medio termine potrebbero essere ridotti. Queste misure sono state seguite da altre del governo centrale che ha rilanciato alcuni progetti di costruzione, sebbene il suo ruolo sia rimasto marginale. La Cina si affida ora alla sua banca centrale, che sembra stia imparando dall’esempio della Fed Put. In un recente articolo del NBER, Anna Cieslak e Annette Vissing-Jorgensen forniscono varie prove empiriche di ciò che i mercati sospettavano da tempo. Analizzando il periodo 1996-2018, le autrici dimostrano che la volatilità di mercato influenza (1) le decisioni della Fed e (2) le prospettive economiche a medio termine. Nel corso del periodo, un calo dei mercati azionari ha – statisticamente – portato la Fed a rinviare gli aumenti dei tassi o a ridurre i tassi di riferimento, nonché a modificare la forward guidance e la sua comunicazione. La retorica “data-dependent” è quindi, secondo le autrici, solo un’estensione di questo principio di estrema precauzione. Abbiamo già accennato più volte a questo fatto: larga parte del recente aumento e del calo dei mercati azionari è dovuto alle banche centrali ed è un elemento centrale della nostra politica d’investimento anche quest’anno. Finché le banche centrali tengono d’occhio la situazione, è improbabile che si verifichi un calo prolungato dei mercati azionari. Ciò non vale tuttavia per le materie prime, come il mercato del petrolio.

Petrolio contro azionario: e l’inflazione?

La Cina è un Paese che esporta più di quanto importa: anche se subisce un ritardo in termini di crescita dal primo al secondo trimestre, rimane improbabile che ciò porti a una recessione globale. L’economia mondiale potrebbe anche approfittare in qualche misura del recente calo del petrolio. A nostro avviso, il rischio numero uno è quindi l’inflazione. Gli ultimi dati degli USA mostrano una crescita dei prezzi superiore alle aspettative, trainata in particolare dalle spese mediche. L’indice dei prezzi al consumo americano è aumentato del 2,5% su base annua, trainato dai costi dei servizi medici, del petrolio e degli immobili. Il collo di bottiglia cinese, relativamente alla divisione globale del lavoro, potrebbe portare a un aumento del rischio inflazione dovuto alla scarsità dei prodotti. Questo è già indicato dal nostro Inflation Nowcaster, che ha raggiunto il punto più basso nel novembre 2019. Da allora, la nostra misura del rischio inflazione è passata da “molto basso” a “neutro”. Ciò è dovuto essenzialmente all’impatto ritardato (1) dell’aumento del prezzo del petrolio nella seconda parte del 2019 e (2) della crescita del tasso di utilizzo complessivo della capacità produttiva. Come nel caso del rischio recessione, è impossibile, in questa fase, misurare l’impatto delle misure di quarantena cinesi sull’inflazione nei paesi sviluppati. Tuttavia, il quadro macro positivo a livello globale suggerisce che i consumatori assorbiranno parte degli aumenti dei costi di produzione. Ma il Fed Put sarà in grado di mitigare lo shock?

Il nostro processo d’investimento offre alcuni elementi che possono guidarci. Il nostro paniere “inflazione”, in contrasto con i panieri “recessione” e “stress di mercato” di cui sopra, offre una copertura interessante contro il rischio inflazione. Non sorprende che i suoi asset costitutivi possano beneficiare di una situazione che combina stabilizzazione economica e inflazione da costi proveniente dalla Cina. D’altra parte, se il Fed Put tiene mentre lo shock continua, azionario e obbligazionario ne beneficeranno, come avvenuto l’anno scorso, ma in misura minore. Anche la volatilità dovrebbe rimanere attrattiva: le banche centrali mirano deliberatamente a contenerla e il suo carry ci sembra ancora attraente. Ad oggi, questi sono i nostri tre principali overweight: il primo legato all’inflazione delle materie prime energetiche; il secondo e il terzo legato al Fed Put, attraverso titoli sviluppati e un posizionamento di breve sulla volatilità. Tuttavia, continuiamo ad anticipare la volatilità in un contesto in cui la maggior parte delle valutazioni rimane elevata.