V per ripresa

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L’impatto dell’epidemia sul contesto economico e sociale è stato particolarmente forte e intenso. In Italia è da poco iniziata la Fase 2 mentre a livello europeo i percorsi scelti dai singoli Paesi in merito all’apertura o al mantenimento del lockdown rimangono disomogenei. Per quanto riguarda la diffusione dell’epidemia sembra che gli Stati Uniti siano vicini al picco. È da valutare se tempistiche e modalità di riapertura delle attività economiche genereranno eventuali contagi di ritorno.

Quel che è certo è che l’intervento delle banche centrali è stato determinante e molto preciso. La loro azione ha fornito liquidità al sistema credito, alle imprese ma anche ai mercati, che ancora una volta sono risultati illiquidi in questa fase di estrema crisi. Gli acquisti degli istituti centrali sul mercato primario e secondario sono stati fondamentali. A loro volta, anche i governi sono intervenuti in maniera decisa – chi più chi meno – attraverso misure fiscali, sgravi e agevolazioni. La situazione della zona euro appare più complessa, in quanto sono state attivate alcune misure – l’ultima in ordine di tempo è stato il Mes – e siamo in attesa di una decisione in merito al Recovery Fund.

Analizzando la situazione micro, a inizio anno siamo partiti con stime sugli utili tra l’8 e il 10% a livello globale che progressivamente sono state riviste dagli analisti e portate in territorio negativo. Crediamo che il ritmo delle revisioni al ribasso si stia finalmente attenuando consentendoci di trovare una base da cui ripartire.

Sul piano macroeconomico, a gennaio le stime del FMI fotografavano una crescita globale dell’economia intorno al 3,3% – forse non particolarmente florida ma sufficiente ad attribuire una certa stabilità allo scenario. Con la crisi pandemica, ad aprile 2020 ci troviamo con numeri quasi opposti. Al momento si parla di una recessione al 3%, dove le economie avanzate vedono oltre 6 punti percentuali di decrescita e quelle in via sviluppo si attestano intorno al -1. Si può notare che l’intensa discesa dovrebbe corrispondere a un altrettanto forte recupero per il 2021. Dunque, lo scenario prevede una ripresa a V o a U molto stretta.

Per capire se sarà possibile andare in questa direzione è interessante osservare l’indicatore dei livelli di congestione del traffico anno su anno, che mostra un crollo – a parte in Germania, che in alcune aree ha visto un calo relativo, inferiore rispetto al resto del mondo – a causa dei lockdown che si sono generati a livello globale e poi un leggero recupero. Considerando solo la zona asiatica, nel confronto della ripresa delle attività e del traffico sia durante la settimana che nei weekend, emerge che in Cina le attività economiche sono ripartite, e questo è confermato anche dagli ultimi dati. Il problema riguarda il weekend, in cui la percentuale è ancora molto bassa. Dunque, si evince che la produzione ha ripreso ma i vecchi stili di consumo e le attività tipiche del fine settimana – quali ristoranti, svago, turismo – non sono ancora ripartiti. Da un lato, la paura di un eventuale nuovo contagio e, dall’altro, l’azione del governo che impone ancora alcuni limiti fanno sì che gli stili di vita appaiano diversi rispetto alla consuetudine. Questo è confermato dalla tendenza che ha interessato il consumo cinese di beni discrezionali durante tutto il mese di aprile, con il dato che non è cresciuto molto rispetto al mese precedente, evidenziando un cambiamento nelle abitudini dei consumatori.

Da un confronto tra Cina e Stati Uniti emerge già da gennaio un crollo dei consumi nell’area cinese, interessata per prima dalla pandemia e dalla chiusura delle attività. Progressivamente si è registrato un recupero, anche se negli ultimi giorni le paure di un contagio di ritorno hanno dato luogo a un rallentamento. Per gli USA il livello è particolarmente basso, pare però non abbia ancora toccato il minimo a causa del clima di incertezza e di difficoltà che sta vivendo il consumatore americano. Le richieste dei sussidi di disoccupazione, infatti, sono passate da 200.000 a un picco di quasi 7.000.000, mentre il dato si attesta attualmente poco al di sotto dei 3.000.000, per una disoccupazione ormai vicina al 15%.

Il VIX (indicatore di volatilità), dopo aver superato l’80% il 23 marzo, è rientrato intorno al 30-35%, ma è ancora molto superiore rispetto ai valori pre-pandemia. Se andiamo a confrontare le valutazioni azionarie dei mercati il 23 marzo con i valori più recenti possiamo trarre alcune interessanti conclusioni. Nella fase di massima volatilità le valutazioni si sono avvicinate ai loro minimi storici con gli analisti che però avevano soltanto iniziato a ridurre le stime sugli utili attesi. Spostando avanti lo sguardo a metà maggio se si escludono Giappone, Hong Kong e India, tutte le aree appaiono prossime ai loro massimi in termini di valutazioni, a seguito dell’effetto combinato del forte recupero di mercato e delle pesanti revisioni al ribasso degli utili intervenute nel frattempo. Anche gli analisti sembrano ipotizzare una ripresa a V, come evidenziato dalle previsioni per il 2021 che indicano una crescita degli utili tanto più elevata quanto più marcata è la flessione prevista nel 2020.

A livello settoriale, la performance complessiva dei mercati “nasconde” grandi differenze. Da un’analisi sullo S&P 500 (-9,3% da inizio anno), si nota un’ampia dispersione: i titoli di qualità e difensivi (ad esempio tecnologia e healthcare che ormai rappresentano oltre il 40% dell’indice) sono pressoché invariati da inizio anno, mentre finanziari e energia registrano perdite superiori al 20%.  Ricaviamo ulteriori informazioni confrontando l’andamento dello S&P 500 con la breakeven inflation (le attese di inflazione a 5 anni implicite nei prezzi delle obbligazioni indicizzate all’inflazione). La correlazione è molto elevata, le aspettative di inflazione si sono mosse insieme con l’andamento azionario. L’inflazione attesa è passata dall’1,3% pre Covid-19, fino ad arrivare quasi a zero. In seguito, con il rallentamento della diffusione del virus e prospettive economiche meno fosche, sia le aspettative di inflazione sia il mercato azionario hanno avuto un recupero deciso.

Indubbiamente l’azionario continua ad avere una valenza in portafoglio, nonostante le valutazioni elevate, perché le alternative continuano ad essere scarse – pensiamo ad esempio ai rendimenti offerti dai titoli governativi europei, pari a zero o anche negativi.

Sul fronte del credito, abbiamo assistito ad un marcato allargamento degli spread. L’investment grade ha toccato i 350 punti base, un dato superiore rispetto a quanto prezzavano gli high yield a gennaio. Quest’ultimo è passato da 320 punti base ai 1100, per poi recuperare assestandosi sui 700 punti base. Secondo una ricerca di Moody’s sull’evoluzione del credito high yield, si possono delineare tre scenari: il primo con correzione decisa ma breve, il secondo caratterizzato da un andamento simile al 2008 e il terzo che indica una severa recessione. Ad ogni scenario si accompagna un livello di spread, nel primo sui 700/1000 punti mentre negli altri casi si arriva ai 1500 o addirittura a 2000 punti base. Da qui si può notare come i mercati anche in questo caso stiano sposando il primo scenario, ovvero recessione breve e a “V”. Il rendimento offerto dagli high yield è interessante nel lungo termine, le valutazioni rimangono tuttavia vulnerabili data l’incertezza che caratterizza le tempistiche del superamento dell’epidemia.

L’oro continua a mostrare una correlazione negativa quasi perfetta con l’andamento dei rendimenti reali del decennale USA. Manteniamo una view positiva sui metalli preziosi sia perché supportati dall’intervento delle banche centrali sia per la loro funzione di protezione nelle fasi di incertezza, come ad esempio in caso di nuove eventuali tensioni tra USA e Cina.