La paura della volatilità sui mercati

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Anche se il 2020 non è ancora finito, una cosa è già chiara: per investire, quanto meno nel mercato in generale, sono serviti nervi saldi. Per fare un esempio, nel primo trimestre dell’anno, l’indice azionario statunitense S&P 500 ha ceduto nel momento peggiore quasi il 30%. Ma chiunque allora abbia deciso di vendere, ora si mangerebbe le mani, visto che l’Indice ha recuperato le perdite in tempi record. Queste profonde oscillazioni dei prezzi non hanno fatto altro che alimentare lo scetticismo di molti investitori privati nei confronti delle azioni. Dopo tutto, le fluttuazioni delle quotazioni – altrimenti definite “volatilità” – rappresentano il motivo più frequente per cui gli investitori rifuggono il mercato azionario. Secondo un sondaggio condotto dal Flossbach von Storch Research Institute a Colonia, gli investitori privati tedeschi ad esempio, considerano le oscillazioni dei prezzi uno dei maggiori rischi per il loro patrimonio.

Non solo i risparmiatori, ma anche molti professionisti definiscono le proprie strategie d’investimento in base a tali fluttuazioni. La volatilità fa parte della moderna teoria dei portafogli e negli ultimi anni è diventata un importante indicatore di rischio. La volatilità, però presenta alcuni svantaggi significativi. Lo dimostra chiaramente anche la crisi del coronavirus.

La volatilità è una tentazione all’investimento pro-ciclico

La volatilità risulta sempre particolarmente elevata quando i prezzi sono già scesi. Prima di un crollo delle quotazioni, cioè quando le azioni presentano ancora valutazioni elevate che tendono a calare durante la crisi, le fluttuazioni sono spesso molto contenute. Questo fenomeno è ben visibile nell’andamento del CBOE Volatility Index (VIX), che misura l’intensità di oscillazione dei prezzi prevista per le azioni incluse nell’indice statunitense S&P 500. Il calcolo del VIX si basa sui prezzi dei contratti a termine sullo S&P 500 con scadenza superiore a 30 giorni. Un valore alto indica un mercato instabile, mentre valori bassi lasciano intendere un andamento dei prezzi pressoché costante, senza forti fluttuazioni.

Poco prima che scoppiasse la crisi del coronavirus, il 20 febbraio, il VIX ha toccato il minimo di 16 punti, salvo poi risalire a un massimo di 83 punti il 17 marzo e ridiscendere da allora a circa 23 punti (aggiornamento al 20 agosto). Osservando il grafico decennale, il tracciato appare molto simile a quello della crisi finanziaria del 2008/2009. In entrambi i casi, la volatilità è aumentata solo dopo che i prezzi erano crollati.

Utilizzando la volatilità come metro di misura del rischio d’investimento, gli investitori giungono spesso alle seguenti conclusioni: se i prezzi sono bassi a seguito di un crollo dei corsi, è meglio liquidare le posizioni, perché la maggiore volatilità indica che l’investimento è diventato più rischioso. Secondo questa logica, vale invece la pena entrare sul mercato una volta iniziata la ripresa, perché un calo della volatilità implica un minor rischio. Anche in questo caso però si consiglia prudenza, perché a nostro avviso questo approccio ha poco senso dal punto di vista economico: d’altro canto, perché l’acquisto di un’azione, ad esempio, a 50 euro dovrebbe essere più rischioso che a 100 euro, se nel periodo in esame i fondamentali dell’azienda restano invariati?

Il rischio di perdita è più importante delle oscillazioni dei prezzi

Noi siamo dell’idea che investire denaro significhi sempre soppesare opportunità e rischi con la prudenza di un buon imprenditore. Consideriamo un investimento rischioso solo se può causare una perdita totale del capitale o se compromette in maniera permanente il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Ecco perché la volatilità non è un criterio adatto a valutare questo (vero) rischio.

Per fare un esempio, con il metodo della volatilità un saldo di conto superiore alla garanzia di legge sui depositi di 100.000 euro presso una banca in crisi con uno scarso rating creditizio sarebbe considerato privo di rischio in quanto il valore del saldo non oscilla. D’altro canto, nemmeno con un titolo di Stato con cedola negativa da mantenere fino alla scadenza gli investitori riuscirebbero a raggiungere il loro obiettivo finale, cioè l’effettiva preservazione del patrimonio al netto dell’inflazione. Eppure, secondo la teoria dei portafogli, alla quale si ispirano molti professionisti del settore, questo investimento sarebbe sicuro, proprio perché la perdita è “certa”, cioè alla scadenza, senza fluttuazioni.

La volatilità offre opportunità agli investitori a lungo termine

Nella valutazione del rischio legato alla volatilità, l’orizzonte d’investimento svolge un ruolo cruciale: in sostanza, la volatilità è nemica degli investitori a breve termine, ma alleata di quelli con un orientamento di lungo periodo. A chi può permettersi di attendere qualche anno, le fluttuazioni temporanee dei prezzi offrono la possibilità di accedere al mercato a condizioni favorevoli – e persino di spuntare un buon prezzo di vendita. In altre parole, chi investe il proprio patrimonio a lungo termine può dimenticarsi della volatilità, che spesso non fa altro che esasperare l’effettivo rischio a breve termine.

Bisogna comunque fare i conti con i propri nervi, la propria pazienza e la propria conoscenza della qualità di un investimento. Gli investitori tendono a reagire in modo meno aggressivo se una crisi coinvolge le azioni di società con prospettive di guadagno ragionevoli, un bilancio solido e un’efficace gestione del portafoglio, in grado di superare spesso indenni i periodi di difficoltà. Inoltre, la quota di azioni in portafoglio va ponderata con attenzione e gli investimenti allocati adeguatamente in diverse asset class e segmenti di mercato al fine di ripartire i rischi. Solo così, anche in tempi difficili, gli investitori possono aspettare con calma che la qualità fondamentale degli investimenti si rifletta nuovamente in un aumento dei prezzi.