La piccola differenza

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La crisi del coronavirus ha riportato i tassi d’interesse di riferimento vicini allo zero percento anche negli Stati Uniti. Ma esiste comunque un’importante differenza tra l’andamento del mercato obbligazionario nell’Eurozona e quello negli Stati Uniti.

I tassi d’interesse sono bassi già da molto tempo, e questo non solo in Germania. Sono ormai trascorsi oltre vent’anni da quando la prima banca centrale al mondo, la Bank of Japan (BoJ), ha introdotto il tasso zero. Nel frattempo, gli interessi in Giappone sono scesi addirittura in territorio negativo. Negli ultimi anni, il tasso zero e negativo ha preso piede anche nell’Eurozona. Nel corso della crisi finanziaria, anche la Federal Reserve (Fed) statunitense aveva ridotto a zero i tassi di riferimento, salvo poi rialzarli. Dopo lo scoppio del coronavirus, i tassi sono scesi di nuovo a un intervallo compreso tra lo 0,00 e lo 0,25 per cento.

Sebbene le indicazioni sui tassi di riferimento nei paesi industrializzati si equivalgano, esiste attualmente un’importante differenza nei mercati obbligazionari. La cosa è particolarmente evidente se si confrontano i tassi d’interesse su obbligazioni con scadenze (residue) diverse negli Stati Uniti e quelli, ad esempio, in Germania.

Con la ripresa del mercato a partire dalla fine del secondo trimestre, i premi al rischio ( spread creditizi) delle obbligazioni societarie, dapprima fortemente aumentati, sono diminuiti sia nella zona euro che negli USA in quasi tutte le fasce di rating . Nel terzo trimestre, però, mentre nell’Eurozona i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine e delle obbligazioni di emittenti con buon rating creditizio hanno continuato a scendere, il tasso d’interesse dei medesimi titoli negli USA è tornato a salire dall’inizio di agosto. E così, con l’1,67%, i Treasury US a 30 anni offrono attualmente rendimenti di gran lunga maggiori rispetto ai titoli a due anni, che si attestano allo 0,12%, mentre per i Bund tedeschi i rendimenti si confermano negativi su tutte le scadenze (dati aggiornati a dicembre 2020).

In altre parole: la curva che mostra l’andamento dei rendimenti di obbligazioni con diverse scadenze (residue) si è fatta più ripida negli USA e uno sviluppo analogo è stato osservato da aprile anche per le obbligazioni giapponesi a 30 anni. Solo nella zona euro il tracciato è rimasto piatto.

Molti meno acquisti di obbligazioni da parte della Federal Reserve nell’ultimo periodo

Cosa si nasconde dietro questo andamento? In linea di massima, la politica monetaria o dei tassi d’interesse delle banche centrali influenza innanzitutto i rendimenti delle obbligazioni a breve scadenza (residua). In questo segmento, i tassi d’interesse sono bassi sia nella zona euro che negli USA. Le condizioni a lungo termine, invece, riflettono le aspettative degli operatori di mercato in merito allo sviluppo futuro dell’economia e dell’inflazione.

Le differenze di rendimento tra le scadenze lunghe e corte negli USA sono probabilmente riconducibili al fatto che la Fed permette (ancora) al mercato di agire un po’ più liberamente rispetto alla Banca Centrale Europea (BCE). Mentre i vecchi e nuovi programmi di acquisto della BCE sono proseguiti anche nel terzo trimestre e il totale di bilancio della banca centrale è ulteriormente lievitato, la Fed si è presa una pausa dopo il rapido ampliamento da marzo a maggio. A quanto pare, la Federal Reserve statunitense è tornata ad affidarsi all’effetto delle forze naturali del mercato e agli annunci verbali.

L’importanza della gestione attiva per le obbligazioni

Per i portafogli obbligazionari, le differenze di rendimento sulle varie scadenze possono rivelarsi importanti fonti di reddito. Ecco perché ne stiamo seguendo gli sviluppi molto da vicino. Oggi la ripidità della curva dei rendimenti statunitense nella cosiddetta “long end” è tornata a un massimo pluriennale, mentre ad esempio i Bund tedeschi hanno finora riportato cambiamenti pressoché irrilevanti. Per quanto ancora il mercato europeo dei tassi d’interesse riuscirà a sfuggire al contesto internazionale? O forse le minori aspettative inflazionistiche al di fuori dell’Europa potrebbero far calare i tassi d’interesse, magari anche negli Stati Uniti?

Ancora una volta, dobbiamo monitorare attentamente l’evoluzione dei profili di rischio/rendimento. Qualunque sia il risultato finale, nell’attuale contesto di tassi zero la domanda di “alfa” si conferma elevata. In altre parole, è d’obbligo rimanere flessibili e, a seconda della situazione del mercato, sfruttare attivamente le opportunità che si presentano per generare rendimenti adeguati sui mercati obbligazionari. Infatti, la classica strategia degli investitori privati di acquistare obbligazioni, tenerle fino alla scadenza e riscuoterne la cedola ha da tempo cessato di dare i frutti sperati.