Rendimenti reali ancora bassi

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Gli investitori privati, con abbondante liquidità a disposizione, stanno condizionando le contrattazioni in questi giorni. Parte della liquidità generata dal Quantitative Easing e dai tassi di risparmio elevati ha finito inevitabilmente per finanziare operazioni speculative sui mercati. La battaglia tra i grandi hedge fund che vendono allo scoperto e gli investitori privati che puntano al rialzo dei titoli sembra un passatempo interessante, che rischia però di avere ripercussioni di portata sistemica. Dove la leva finanziaria e la volatilità abbondano, le cose possono finire male. Iniziamo già a vederne le possibili implicazioni con il forte aumento della volatilità dei mercati azionari di questa settimana. Io preferisco concentrarmi sui fondamentali a più lungo termine. Gli utili salgono e gli yield reali sono negativi. Forse avremo presto l’opportunità di acquistare al ribasso.

Bolle che non scoppiano mai

Si parla molto di bolle. Questa settimana gli occhi sono stati puntati su un gruppo di investitori privati che ha viziato il prezzo di azioni che erano state oggetto di livelli insolitamente elevati di vendite allo scoperto. Le oscillazioni di prezzo sono state impressionanti. Quest’attività è speculativa, aggressiva e, secondo alcuni, riflette gli eccessi del mercato. Un paio di settimane fa, il Bitcoin ha toccato nuovi massimi e da allora è stato estremamente volatile. Sembra che ingenti somme di denaro siano confluite verso società di acquisizione per scopi speciali (le cosiddette SPAC). Secondo gli investitori e gli osservatori più esperti, il mercato azionario si trova in una classica bolla, mentre molti faticano a comprendere com’è possibile raggiungere valutazioni e rendimenti azionari così elevati in un mondo tuttora afflitto dalla pandemia da Covid-19. È opinione diffusa che tutto questo non abbia senso, che l’attività degli investitori e le valutazioni del mercato siano lontane dalla realtà economica e che le conseguenze non saranno buone.

Attenzione

Io dubito che molti investitori tradizionali siano coinvolti in questo tentativo di far salire alle stelle il prezzo di azioni a basso costo, o di far passare posizioni short con una leva finanziaria molto alta attraverso il mercato delle opzioni. C’è la tentazione di sminuire questo fenomeno come una sorta di capitalismo d’azzardo a Wall Street. Dopo tutto, i piccoli investitori che si riuniscono sui social media per “dare una lezione” ai fondi hedge non assomigliano agli investitori a lungo termine che puntano sulle tendenze economiche strutturali, sul valore e sulla crescita degli utili. Sembra più una teoria dei giochi che spinge chi si trova dalla parte sbagliata fino all’estremo, finché non può più tollerare le perdite. Le oscillazioni dei prezzi possono avere e hanno avuto effettivamente conseguenze drammatiche. Si ha la tentazione di pensare che il fenomeno sia una moda passeggera, che non dovrebbe incidere sulla performance a lungo termine del mercato in generale. C’è però il rischio, seppure minimo in questa fase, che produca ripercussioni più rilevanti per i mercati in futuro.

Panico?

Innanzitutto potrebbero esserci delle implicazioni a livello comportamentale correlate a quest’attenzione per le brusche oscillazioni di alcuni titoli. Più i mezzi di informazione ne parlano, più si diffonde l’idea che l’intero mercato si trovi in una bolla. Gli effetti psicologici potrebbero spingere gli investitori a prendere profitto sui portafogli azionari oppure a conservare liquidità in caso di una correzione del mercato. Il timore che qualcosa possa andare storto o che ci sia una risposta politica alle speculazioni potrebbe generare qualche reazione avversa sul mercato. Le trasmissioni televisive che si occupano di finanza continuano a ripetere che gli investitori privati rischiano di perdere tutto.

Reazione a catena

Sebbene il fenomeno sia stato relativamente circoscritto, prevalentemente alle small cap, potrebbe contagiare altri segmenti del mercato. Gli investitori tradizionali avranno investito in alcuni di questi titoli attraverso strategie specializzate o multi-cap. L’incremento della volatilità potrebbe influire sulle modalità di gestione dei portafogli, con il tentativo di ridurre l’esposizione al rischio. I capitali verrebbero allontanati dalle componenti del mercato che si ritiene più soggette a tale incremento di volatilità.  Quantomeno, la maggiore volatilità dei prezzi potrebbe incidere sulla performance in modo non coerente con la filosofia di investimento della strategia.

È sempre l’effetto leva

Un aspetto forse più difficile da cogliere è il rischio sistemico. Sembra che molte azioni di cui si parla tanto negli ultimi giorni abbiano attirato una grande quantità di capitali presi a prestito nel tentativo di sfruttare il loro ribasso, solitamente attraverso il mercato delle opzioni. La leva può assumere molte forme, ma l’idea che le posizioni nette al ribasso rappresentino più del 100% della capitalizzazione di mercato di un titolo è fonte di qualche preoccupazione. Leva e volatilità costituiscono un cocktail dannoso perché qualcuno, da qualche parte, dovrà coprire le inevitabili perdite. Il rischio è che i venditori allo scoperto debbano chiudere le loro posizioni e finanziare le perdite, magari vendendo altri strumenti per incamerare liquidità. All’estremo un fondo hedge potrebbe subire perdite veramente ingenti. Probabilmente sarà necessario attingere alle linee di credito bancarie, e sembra che ciò stia già accadendo in relazione a una delle principali piattaforme di retail trading. Apparentemente, le richieste di copertura sono già aumentate. La leva è una costante se si studiano le crisi del passato.

Liquidità, app e noia

L’altro aspetto del fenomeno degli investitori retail è che probabilmente riflette l’abbondante liquidità a disposizione. A seguito del quantitative easing, degli stimoli fiscali e dell’impossibilità di spendere questo denaro, il risparmio è aumentato, facendo confluire questi fondi nel mercato azionario. In qualche caso coi fondi pensione, o con l’acquisto di fondi comuni di investimento e con acquisti diretti. Alcune di queste operazioni sono estremamente speculative, ed è possibile che nascondano motivazioni più ampie che fare qualche soldo in più. È un effetto collaterale della liquidità ma non riflette i fondamentali sottostanti. I progressi tecnologici e l’abbondanza di liquidità hanno fatto emergere la sorprendente portata dell’attività speculativa degli investitori retail sul mercato azionario. Provocherà dei danni, finanziari e reputazionali, e renderà necessari interventi politici. Togliere liquidità dal mercato però non è la risposta giusta. Temo che alla fine ci sarà una selezione naturale, le opportunità di contrastare gli short-seller diminuiranno proprio perché questi si terranno alla larga dalla vendita allo scoperto, riducendo quindi anche le opportunità per gli investitori retail pungolati dalle discussioni sui social media. Qualcuno ne uscirà vincitore, altri perderanno. Nel complesso, quest’attività ha poco a che fare con i fattori macro o i fondamentali societari.

Il quadro ciclico

Non sono certo che tutto ciò basti ad aprire una fase ribassista sul mercato. Il sostegno della politica monetaria (esemplificato dai tassi di interesse reali che sono ancora molto bassi) e le aspettative di ripresa economica restano i fattori trainanti della performance del mercato azionario e della mancanza di volatilità nei mercati del reddito fisso. Mi preoccuperebbe di più partecipare a una nuova fase di mercato se i tassi reali iniziassero a salire in risposta alle preoccupazioni per la crescita dei livelli di debito globali, o se le stime di crescita degli utili venissero riviste molto al ribasso a fronte di una nuova previsione ciclica nei prossimi 12-18 mesi. Ci troviamo ancora nel bel mezzo di una pandemia globale. L’opinione di consensus è che i vaccini consentiranno un miglioramento delle condizioni economiche, favorendo gli utili e l’andamento del mercato.

È un altro rischio

Naturalmente ci sono dei rischi. È evidente che le campagne di vaccinazione sono deludenti in molti Paesi e che sono subentrati problemi logistici e di fornitura. Ci sono anche timori sul fronte epidemiologico in merito all’infettività e alla mortalità delle nuove varianti del coronavirus. È possibile che l’attività economica resti più a lungo al di sotto della capacità, e che le ferite di un anno di continui lockdown e chiusure siano peggiori di quello che pensiamo. L’ultima cosa che la Federal Reserve, la BCE e le altre autorità desiderano, nel loro impegno per la ripresa, è uno shock finanziario provocato dalle bizzarrie di investitori azionari retail che si oppongono all’establishment e che ingaggiano insieme una lotta contro i venditori allo scoperto. Jerome Powell non ha lanciato alcun segnale per cui la banca centrale starebbe pensando di ridurre gli stimoli monetari. Se il gioco si fa duro, le banche centrali incrementeranno il loro sostegno. Comunque, la situazione è difficile, sia per gli investitori che per gli analisti.

Yield reali ancora bassi

A confermare la tesi che non siamo ancora fuori dal tunnel, per cui sarebbe sciocco pensare che le autorità cesseranno di intervenire, è il fatto che gli yield decennali sono scesi durante la scorsa settimana. Lo yield sui Treasury a 10 anni è tornato poco sopra l’1,0% dopo il tentativo di superare l’1,2% a metà mese. Non è un grosso cambiamento, tuttavia si tratta di un passo nella direzione opposta a quella ipotizzata qualche settimana fa. E questo dopo che il mercato ha preso atto dell’aumento del debito volto a sostenere gli stimoli economici per la ricostruzione proposti da Joe Biden. Lo yield reale decennale negli Stati Uniti è sceso di 15 p.b. dal recente massimo del 12 gennaio. Raramente è stato inferiore all’attuale -1,06%.

Crescita

La stagione delle trimestrali relativa al 4° trimestre è stata comunque incoraggiante. Hanno iniziato le banche a riferire risultati positivi, poi è stata la volta delle big tech che hanno riportato una tendenziale crescita degli utili. Nel settore tecnologico nell’indice S&P500, i ricavi per il 4° trimestre finora sono stati sorprendenti, con un aumento del 7,3%, mentre gli utili hanno superato le attese del 20% (22 società su 59 hanno già pubblicato i risultati). Seppur in presenza di un rapporto PE elevato per le azioni tecnologiche, il rendimento degli utili resta più interessante di quello obbligazionario, e la crescita degli utili è robusta. Finché gli yield obbligazionari resteranno bassi, queste valutazioni persisteranno e i titoli growth continueranno a fare bene. Il 4° trimestre potrebbe dunque essere il terzo trimestre consecutivo di utili in crescita per l’S&P500, con sorprese di almeno il 18%. Naturalmente non tutti sono al rialzo, alcune aziende non centreranno gli obiettivi e faranno previsioni prudenti. Forse gli analisti sono troppo ottimisti sul 1° e sul 2° trimestre, considerato il prolungamento dei lockdown dell’economia. Eppure, la crescita degli utili aggregati è stata incoraggiante, l’economia dovrebbe crescere molto nel secondo semestre, i tassi reali resteranno bassi e la fiducia degli investitori probabilmente aumenterà quando altri Paesi si troveranno nella posizione di Israele (più di metà della popolazione è stata vaccinata e ci sono i segnali di un rapido calo dei contagi).

Costoso

Ho cercato su internet quante volte è stata pubblicata la parola “bolla”. Secondo un articolo, l’uso del termine avrebbe raggiunto livelli preoccupanti come avvenne nel 1999 e di nuovo nel 2007. Purtroppo l’articolo era datato 29 luglio 2014. L’indice S&P generò un rendimento complessivo del 5,4% quell’anno e del 13,5% su base annuale. Le bolle ci saranno sempre e chi è fissato col mercato azionario potrebbe voler prendere in considerazione i Bund tedeschi o le obbligazioni societarie europee con rating A e scadenze oltre i 10 anni, con un rendimento a scadenza dello 0,52% soltanto. Di una cosa sono certo, se la “bolla” azionaria scoppia, la “bolla” obbligazionaria si gonfierà ancora di più!

Rialzista a medio termine – Sospetto che non sia ancora il momento di scrivere la parola fine al fenomeno del “capitalismo d’azzardo”. I guadagni sui mercati azionari di gennaio sono in gran parte andati in fumo. Potremmo persino assistere a una profonda correzione dei mercati azionari se l’ossessione per le bolle generasse il panico. Resto comunque dell’idea che, oltre la volatilità a breve termine, i fondamentali dei tassi reali bassi e della crescita degli utili conservano la loro forza. C’è liquidità pronta da investire e mi aspetterei un’ondata di acquisti sulla debolezza, se gli yield obbligazionari e i prezzi azionari scendessero ancora nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.