Mario Draghi e l’effetto sullo Spread

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La discesa dello spread è in gran parte imputabile al riassorbimento dell’allargamento avvenuto a seguito della crisi politica italiana. Pre-crisi (metà gennaio) lo spread era intorno ai 105 bps, ha raggiunto i 126 bps ed è tornato ora a 100 bps. Sembra probabile, dunque, che una volta riassestato il governo, lo spread possa stabilizzarsi intorno ai livelli attuali o continuare gradualmente il percorso di riduzione già cominciato a marzo 2020 e indirizzato ai livelli pre-maggio 2018, causato probabilmente, tra le altre cose, anche dalla caccia alla cedola, in un contesto di rendimenti obbligazionari sempre più risicati. Sicuramente una maggiore fiducia nelle istituzioni da parte degli investitori potrebbe aiutare ulteriormente a ridurre la pressione sui titoli italiani. Ovviamente nel lungo periodo l’attuazione di un programma solido e di riforme strutturali efficaci potranno influenzare positivamente lo spread. Ma non sarà facile dato il livello di indebitamento che l’Italia si troverà ad affrontare e agli stralci derivanti dalla crisi economica. Nel post Covid, a meno di monetizzazione del debito, gli indicatori fondamentali del Paese (come, ad esempio, rapporto debito/pil, deficit e servizio del debito) torneranno a essere più rilevanti di quanto lo siano oggi, dato l’ammontare di liquidità che ha inondato i mercati.

Nel lungo periodo, se davvero l’Italia dovesse risollevarsi dalla stagnazione dell’ultimo decennio e ridurre il proprio livello di indebitamento, in uno scenario estremamente ottimistico, lo spread potrebbe tornare a livelli pre 2008 (circa 20bps), o comunque riassestarsi ai livelli degli altri paesi dell’Europa periferica (Spagna e Portogallo), i cui spread sono intorno ai 50/57 bps. Come detto, questo dipende da numerosi fattori quali unione fiscale, ripresa dalla pandemia e ammodernamento del paese tramite messa in atto di riforme strutturali, richieste più volte dallo stesso Mario Draghi in veste di Presidente della BCE. Nel breve termine la volatilità rende difficile fare previsioni e riteniamo che restringimenti considerevoli del differenziale potrebbero essere di breve durata se non supportati da dati su PIL e utili societari solidi e in crescita già da quest’anno. Ricordiamo inoltre che lo spread è un indicatore altamente ciclico. In altre parole, indipendentemente dall’andamento dell’Italia, nel breve termine, crescerà e diminuirà di pari passo con la volatilità dei mercati globali.

Per quanto riguarda il risparmio in termini di minori interessi è strettamente legato all’attività di emissione di nuovo debito nel corso dei prossimi mesi. Inoltre, a impattare su questa misura non è tanto lo spread quanto il livello dei tassi d’interesse in termini assoluti. Il rapporto di equivalenza tra spread e tasso di interesse è valido solo per le emissioni più a lunga scadenza. Nel corso del 2020 l’attività di emissione è stata pari a circa 500 miliardi di euro. Per dare un’idea generale: su una cifra di tale entità, un eventuale restringimento di 20/30 bps su tutta la curva – se duraturo e a parità di tasso governativo tedesco – potrebbe comportare un risparmio nell’ordine di 1/1,5 miliardi di euro (l’ultima legge di bilancio vale 38 miliardi) all’anno. Si tratta di stime generiche in quanto il risparmio reale dipenderà dal fabbisogno del governo italiano e dai movimenti dei tassi sulle diverse parti della curva, i cui differenziali potrebbero essere inferiori (lo spread si calcola sulle emissioni decennali). Tuttavia, tali stime sono indicative dell’importanza della fiducia degli investitori. Il vero tema resta legato alla sostenibilità di medio periodo. Quando l’intervento di sostegno delle banche centrali verrà meno quanto sarà sostenibile il servizio del debito? In questo senso la figura di Draghi può rappresentare una garanzia per gli investitori, ma a contare saranno soprattutto i dati core relativi all’economia e il livello di coordinamento della risposta data dai governi europei alla crisi. Al di là di questo effetto di breve termine, sarà interessante misurare le risposte dell’esecutivo Draghi sulla capacità del Paese di generare crescita, sia nel 2021 sia attraverso investimenti che migliorino le prospettive di lungo termine.

L’impatto del Recovery Plan sullo spread può avere varie forme. C’è una parte di investimenti a fondo perduto che potrebbero stimolare nel medio termine crescita e inflazione: ciò potrebbe portare il rapporto debito/Pil verso un bilancio più favorevole. C’è poi una parte di prestiti, bisogna ricordare che si tratta comunque di debiti che andranno rifinanziati. Ciò non ha un impatto diretto sullo spread ma è normale che le varie misure che l’Italia ha preso aumentando il debito renderanno il Paese più suscettibile ad aumenti del differenziale di rischio. Questa è una realtà con la quale sia il governo italiano, sia l’intera governance del sistema euro dovranno fare i conti nel medio termine. Le due variabili principali sono la crescita e la capacità della politica monetaria di continuare a garantire implicitamente il debito dell’Italia e di altri Paesi.