FED, fare un passo indietro per saltare più in alto

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È difficile per i mercati sapere da che parte stare! Da un lato, i dati molto più bassi del previsto nel report sull’occupazione americana, ancorché relativizzati tra l’altro da un bias di calcolo, sembravano schiarire l’orizzonte della politica monetaria, dall’altro, la scorsa settimana, le statistiche sull’inflazione mandavano in frantumi ogni aspettativa. Con un +4,2%, i prezzi al consumo stanno vivendo l’aumento più consistente su base annua dal 2008, e persino dal 1996 se consideriamo l’indice core – esclusi energia e prodotti alimentari – che è cresciuto del 3,0% su base annua. Nel solo mese di aprile, l’indice core è aumentato dello 0,9%, ben al di sopra dello 0,3% previsto, mettendo così a segno la variazione mensile più significativa dal settembre 1981. Tuttavia, la variazione mensile dell’indice core non tiene conto né dell’effetto base favorevole rispetto alla primavera del 2020, che si riflette nella variazione a un anno, né dell’impatto diretto dei prezzi delle materie prime, incluso nell’inflazione complessiva. Si conferma così uno scenario di surriscaldamento dell’inflazione che era stato finora poco sostenuto dai dati pubblicati.

Crescita dei prezzi nel settore dei trasporti

Grazie a un’analisi più granulare si possono evitare le interpretazioni eccessive. Questa crescita molto sostenuta dei prezzi negli Stati Uniti si concentra, infatti, in un settore: i trasporti. L’aumento dei prezzi in questo settore rappresenta il 50% di quello mensile dei servizi e fino al 75% di quello dei beni. Sono due i segmenti che cristallizzano questa impennata: il prezzo dei veicoli di seconda mano, in aumento del 10% nel corso del mese (21% in un anno), e quello dei noleggi, in rialzo del 16,2% (82,2% in un anno). La carenza, in particolare di semiconduttori, sta penalizzando l’industria automobilistica e limitando drasticamente la produzione di veicoli nuovi. Sia i privati, sia le società di renting si rivolgono quindi al mercato dell’usato, dove l’offerta è per natura limitata, allorché la domanda sta esplodendo. Se questi dati non destano grandi sorprese – i leading indicator li hanno evidenziati per diverse settimane – sorprende invece la loro ampiezza.

Potremmo essere tentati, alla luce di questa spiegazione, di sottoscrivere la visione della Fed incentrata su un’inflazione transitoria, provocata da effetti specifici. È del resto quanto riferirà Jerome Powell nel corso della prossima riunione della banca centrale in giugno, facendo tra l’altro leva sui dati relativi all’occupazione che sono di difficile lettura. Tuttavia, il rischio di una spirale inflazionistica non può essere escluso. Prevista in forte rialzo, l’inflazione ha ampiamente superato le aspettative. Alcune componenti strutturali, in particolare gli alloggi, riportano per ora piccoli aumenti nei dati dell’inflazione, mentre i leading indicator lasciano intravedere degli aumenti consistenti in futuro. D’altra parte, una forte inflazione salariale non può essere esclusa se si considerano alcuni dati: è salita al di sopra del livello pre-crisi la percentuale di persone che lasciano volontariamente il loro posto di lavoro, segno di fiducia nel mercato del lavoro. Il numero di PMI con posti vacanti è ai massimi storici, creando importanti leve negoziali in tema di remunerazioni.

L’aumento dell’inflazione non è preoccupante di per sé ma riflette la forza della ripresa economica, e la Fed ha i mezzi per contrastarla. Detto questo, è poco probabile che la banca centrale dia qualche indicazione su una futura riduzione degli acquisti – tapering – prima della fine dell’estate. Riflettendo bene, tuttavia, i mercati non dovrebbero preoccuparsi troppo del momento in cui la Fed farà la sua dichiarazione ma piuttosto della portata della riduzione mensile degli acquisti netti di asset e del ritmo (il tempo necessario per riportare gli acquisti netti a zero) del futuro tapering. A forza di voler guadagnare tempo la Fed potrebbe essere costretta ad azionare il freno in modo più brusco di quanto gli investitori si aspettino. O, per lo meno, di quanto i mercati azionari, piuttosto cari, siano in grado di sopportare senza grossi scossoni.