Come l’inflazione ‘benigna’ può diventare ‘maligna’

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Uno dei temi più discussi negli ultimi mesi è l’aumento dell’inflazione. Pensate che sarà transitorio come sostiene la Fed, o vi è il rischio di un incremento più drammatico e permanente come molti credono?

È importante tracciare una distinzione tra due tipi di inflazione. La prima è legata alla riapertura dell’economia e al fatto che i consumatori hanno ampia liquidità a disposizione grazie agli aiuti dei governi. Si tratta insomma di un fenomeno naturale: la Fed, ad esempio, sarebbe soddisfatta di generare un tasso di inflazione di questo tipo del 2% o 3%.

Tuttavia, esiste anche un secondo tipo di inflazione, più ‘maligna’, che viene innescata da una perdita di fiducia nella capacità di una valuta di conservare il valore rispetto ad altri tipi di beni. In altre parole, si tratta di una crisi della fiducia nelle istituzioni che garantiscono la valuta: questo è il meccanismo attraverso il quale i prezzi possono andare fuori controllo.

In che modo quindi un’inflazione ‘benigna’ del primo tipo può trasformarsi in una ‘maligna’ del secondo tipo?

Il momento in cui l’inflazione transitoria legata a squilibri nella domanda e offerta si trasforma in quella più permanente e problematica è quando diventa ‘radicata’ nella psicologia. Questo avviene quando si crea una dinamica nella quale i tentativi del Governo di interrompere le misure di stimolo portano alla necessità di nuovi stimoli, in un circolo vizioso.

Quanto più a lungo l’inflazione resta elevata, tanto più è probabile che diventi duratura, perché le persone iniziano ad abituarsi, rafforzando la dinamica. A mio avviso, negli USA abbiamo già superato la soglia oltre la quale la fiducia nelle istituzioni inizia a erodersi, e se non si trova un modo di ridurre il QE e il deficit verso livelli più sostenibili, è probabile che questa erosione proseguirà.

Qual è il ruolo dei deficit fiscali in questa dinamica?

I deficit sono problematici quando diventano ampi e strutturali. A nostro avviso, negli USA sarà molto difficile passare da un deficit del 16% a uno dell’8% o 3% senza implementare altre forme di stimolo per compensare la riduzione. Non vi è abbastanza crescita interna per sostituire quella generata dalla spesa pubblica. Con il quantitative easing è come nell’Hotel California della canzone degli Eagle: ‘si può arrivare quando si vuole, ma non si può mai più ripartire’.

Oltre all’inflazione, ci sono altri costi nascosti delle politiche di stimolo? Può esservi anche un risvolto sociale?

Un aspetto che vale la pena considerare è che le banche centrali stanno di fatto destabilizzando il mercato a livello politico favorendo coloro che possiedono asset finanziari rispetto a chi riesce solo a sostentarsi con ciò che guadagna dal lavoro.

Questa dinamica è estremamente dannosa sia per via delle disuguaglianze che produce, sia perché di fatto fa aumentare il prezzo di certi beni di cui le persone hanno bisogno, come la casa o la pensione.

Il rapporto tra il prezzo dell’S&P500 e lo stipendio medio dei lavoratori è sui massimi di sempre: significa che in media occorre lavorare di più per poter partecipare al mercato azionario. Allo stesso tempo, è diventato più costoso andare in pensione, per via dei tassi di interesse bassi. In sostanza, le persone devono risparmiare di più per comprare una casa o per la pensione, tagliando le proprie spese: in questo senso invece che alimentare i consumi, gli stimoli potrebbero addirittura ostacolarli.

Considerando le conseguenze per gli investitori, qual è la vostra view sul credito nella fase attuale?

Per rendersi conto della situazione sul mercato del credito, basta pensare che la percentuale di ‘società zombie’ – vale a dire, società che non generano abbastanza EBITDA da coprire nemmeno gli interessi sul proprio debito – ha raggiunto il massimo storico, pari al 20% di tutte le società quotate negli USA.

In altre parole, vi è un’abbondanza di ‘incidenti pronti ad accadere’. Tuttavia, finché un emittente con rating ‘CCC’ può prendere in prestito con un tasso del 5%, non andrà in bancarotta, ma continuerà semplicemente a rifinanziare il proprio debito. I nodi verranno al pettine quando il credito verrà nuovamente ‘razionato’, ed è questo il dilemma delle banche centrali riguardo alla riduzione degli stimoli.

A che strumenti può ricorrere allora un investitore obbligazionario?

Uno dei modi migliori per mettersi al riparo, almeno in parte, dall’inflazione nel lungo periodo è probabilmente utilizzare opzioni a lungo termine a buon mercato, ad esempio opzioni put sui tassi a 10 anni.

Per il resto, vi sono alcune aree che ancora offrono valore. Alcune obbligazioni ‘di agenzia’ offrono rendimenti compresi tra quelli dei bond investment grade e high yield, a fronte di una qualità del credito probabilmente migliore di entrambi.

Vi sono poi le agency Mbs, i titoli garantiti da mutui ipotecari emessi da agenzie governative: gli spread sono su livelli adeguati, ma grazie al fatto che la Fed continua a comprare e rifinanziare questi strumenti, si è creata una sorta di anomalia persistente che gli investitori possono sfruttare. Questi strumenti quindi si possono considerare decisamente a buon mercato rispetto ad altre asset class, considerando anche che si tratta del secondo asset più liquido disponibile sul mercato del reddito fisso al momento.