Il rischio di un ritorno dell’inflazione non è una chimera

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Prevedere l’andamento dell’inflazione rappresenta uno dei compiti più ardui, perché i criteri da considerare sono numerosi, interdipendenti e variabili nel tempo.

Una delle ultime volte che venne prevista una fiammata inflazionistica fu dopo la grande crisi finanziaria, quando le principali Banche Centrali mondiali lanciarono piani di creazione di moneta (per l’epoca) colossali per supportare l’acquisto di asset. La maggioranza degli economisti era convinta che stampare freneticamente moneta avrebbe comportato un considerevole rischio d’inflazione. Non solo dopo dieci anni quel rischio non si è avverato, ma abbiamo raggiunto il risultato opposto: un’inflazione troppo bassa e una crescita economica atona, che penalizzano le economie sovraindebitate e impediscono alle aziende di aumentare i prezzi. Una delle principali cause di questa persistente deflazione è che la maggior parte della moneta non ha mai raggiunto l’economia reale, perché la nuova liquidità non ha reso le banche più inclini a concedere prestiti (e l’inasprimento della regolamentazione ha ulteriormente incoraggiato questo eccesso di prudenza) e perché privati e aziende erano a propria volta cauti: questa liquidità è rimasta esclusivamente all’interno del sistema finanziario. Di conseguenza è aumentato il prezzo di azioni e obbligazioni, ma non quello dei beni di consumo: gli investitori sono stati i principali beneficiari degli ultimi dodici anni.

Oggi un ritorno dell’inflazione a brevissimo termine sembra inevitabile, perché è logico che i prezzi al consumo nelle prossime settimane siano più alti rispetto alla primavera scorsa, quando i consumatori erano chiusi in casa per il lockdown. Il fenomeno potrebbe accentuarsi e perdurare per un certo periodo perché, mentre la domanda è in fase di ripresa, l’offerta è ancora limitata dai fattori che da oltre un anno frenano la capacità produttiva. Su scala mondiale l’impennata del prezzo di alcune materie prime negli ultimi 12 mesi, come rame o semiconduttori, ricorda l’influenza della ferrea regola domanda-offerta sul prezzo di beni e servizi. Negli Stati Uniti, dove da tempo l’economia è tornata a regime, il fenomeno era già visibile e in aprile l’indice dei prezzi ha superato le previsioni degli economisti.

Ma l’aspetto essenziale va oltre il breve termine: è possibile che dopo avere ampiamente sopravvalutato l’andamento dell’inflazione all’inizio del decennio precedente, gli economisti lo stessero sottostimando per i prossimi dieci anni?

Una domanda cruciale per i risparmiatori, che merita di essere presa in considerazione perché qualcosa è cambiato nel modo di gestire le crisi tra il 2008 e il 2020.

Dopo l’errore del 2009 abbiamo imparato la lezione: per evitare che a trarre beneficio dalla gestione della crisi siano solo gli asset finanziari e non l’economia reale, i governi si sono assunti le proprie responsabilità e quasi tutti hanno preso provvedimenti affinché la creazione di moneta fosse incanalata verso cittadini e imprese. Al timone non ci sono più solo le Banche Centrali. Le misure intraprese dall’amministrazione Biden hanno avuto una portata ancora maggiore del New Deal di Roosevelt degli anni ‘30. Si potrebbe persino dire che Biden stia cercando di rovesciare tutta l’ideologia economica liberale degli ultimi quarant’anni, lanciata da Reagan e ripresa da Margaret Thatcher e che risponde al motto “meno stato, meno leggi, meno tasse, più mondializzazione”. Si potrebbe quindi supporre che la disinflazione persistente degli ultimi decenni sia orma al capolinea.

Non ne avremo immediatamente conferma. Il decennio appena trascorso ha dimostrato che il sovraindebitamento è un ostacolo formidabile alla ripresa dell’inflazione e all’aumento dei tassi. Inoltre il rischio è decisamente più lontano in Europa dove la sottoccupazione, i freni strutturali alla crescita e l’entità relativamente modesta dei piani di rilancio rendono meno credibile la prospettiva di un completo cambiamento di regime.

Tuttavia l’aumento dei prezzi che accompagnerà la riapertura e le numerose interruzioni delle catene di approvvigionamento potrebbero sorprendere gli investitori nei prossimi mesi. Questo fenomeno potrebbe rivelarsi in parte transitorio perché l’effetto base sul prezzo del petrolio si esaurirà presto. Ma per quanto la storia ci suggerisca che raramente è sensato annunciare in modo perentorio un ritorno durevole dell’inflazione dagli asset finanziari all’economia reale, i mercati devono accettare che questa probabilità è ora molto più forte.  Se ciò dovesse accadere, non saranno certo con i modelli tradizionali degli economisti ad anticipare in maniera attendibile il futuro andamento dell’inflazione, in un contesto del tutto inedito.  Già questo rischio di per sé giustifica una maggiore cautela da parte dei risparmiatori, il cui patrimonio da anni prudentemente investito in titoli obbligazionari a basso rendimento potrebbe risentire pesantemente di un ritorno dell’inflazione.