Prospettive globali di crescita e inflazione

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Erik, puoi riassumerci le condizioni della crescita globale?

Abbiamo chiaramente assistito a una ripresa dopo ciò che ci auguriamo sia stato l’apice della crisi pandemica. La crescita è tornata su livelli alquanto solidi e gli output gap negativi sono stati colmati, soprattutto negli Stati Uniti. Ma credo vi sia il timore che il secondo trimestre abbia segnato il punto massimo raggiungibile. Sapevamo benissimo che ci sarebbe stato un trimestre identificabile come il “punto massimo raggiungibile”. Pertanto sappiamo che i dati relativi al secondo trimestre evidenzieranno una crescita particolarmente solida negli Stati Uniti, e sappiamo anche che ci sarà un qualche picco dell’inflazione. Il timore è non solo che potremmo aver raggiunto il picco della crescita, ma anche che d’ora in poi tale crescita possa mancare le attese. Inoltre, c’è il rischio che l’inflazione diminuisca in maniera più pronunciata del previsto. A ciò si somma l’incertezza creata dalla variante Delta.

Con il picco della crescita e dell’inflazione all’orizzonte, i rendimenti dei titoli sovrani globali dei mercati sviluppati hanno fatto segnare un netto rally. Ciò è visibile sia nei tassi reali, vicini ai minimi, sia negli indicatori di inflazione del mercato, che sono ridiscesi dai picchi raggiunti, soprattutto nel caso dei tassi di pareggio (differenza tra i tassi nominali e reali). I tassi reali sono più bassi, a segnalare le preoccupazioni sulla crescita, e anche tassi di pareggio sono scesi, indicando che l’inflazione potrebbe essere un po’ più contenuta. Inoltre, è possibile che l’incertezza creata dalla variante Delta stia inducendo le persone a rivolgersi anche ai beni rifugio. Credo che tutto ciò sia un po’ eccessivo e in parte infondato. Questi tassi sono troppo bassi. Supereremo anche la variante Delta. Ci lasceremo questo virus alle spalle insieme alle aspettative attuali dei mercati, visto che i tassi d’interesse correnti sono compatibili con tassi bassissimi di crescita reale e inflazione. Potremmo essere diventati troppo pessimisti. I mercati lo sono di sicuro.

Che dire delle cicatrici di più lungo termine che verranno lasciate dalla pandemia?

Alcune piccole imprese non riapriranno neanche una volta rimosse completamente le restrizioni. Tuttavia, negli Stati Uniti abbiamo registrato un netto aumento della creazione di nuove aziende. Ciò potrebbe indicare un nuovo spirito imprenditoriale tra i proprietari di attività di piccole dimensioni e potrebbe essere uno sviluppo più rappresentativo di ciò che ci aspetta una volta superata la pandemia. Io sono tendenzialmente ottimista sia sul fronte del lavoro che su quello del capitale: credo che le cicatrici non saranno profonde, a meno che questa variante Delta non ci destabilizzi ancora di più.

Gli investitori si stanno concentrando sul recente rialzo dell’inflazione e sui rendimenti contenuti dei titoli sovrani del G10. Puoi dirci se secondo te l’inflazione si rivelerà duratura ovvero transitoria come continua ad affermare la Fed?

Il bello della parola “transitoria” è che ha significati diversi per soggetti diversi. La Fed potrà dire che l’inflazione è stata transitoria se tra due anni raggiungerà il suo livello obiettivo. Ma, se adottiamo la prospettiva dei mercati, due anni sono tempo estremamente lungo. È indubbio che l’inflazione scenderà dai livelli attuali. Questi livelli potrebbero non coincidere con il picco, ma credo che nei prossimi sei-dodici mesi vedremo cifre molto più basse del 5,4%. La domanda chiave è: dove saremo quando la situazione si sarà stabilizzata? Una volta usciti dalla crisi pandemica, la ripresa sarà terminata e saremo tornati ad una qualche forma di normalità? Nell’ultimo ciclo economico il CPI complessivo si è attestato su una media dell’1,7%, a fronte del 2,8% nei due cicli precedenti. Credo che molti aspetti abbiano dovuto concorrere affinché l’inflazione si attestasse sul livello particolarmente contenuto dell’1,7% nell’ultimo ciclo. All’indomani della crisi finanziaria globale ci siamo ritrovati con un enorme output gap negativo, durato molto a lungo (sette-otto anni). Sia le banche che le famiglie hanno ridotto l’indebitamento. Abbiamo avuto l’austerità fiscale. I salari sono stati duramente colpiti nelle prime fasi di ripresa. Sono tutti fenomeni che contrastano l’inflazione.

Non credo che queste condizioni si ripeteranno. I consumatori decideranno probabilmente di aumentare e non di diminuire il proprio indebitamento, e lo stesso dicasi per le banche. Tutto ciò crea un contesto decisamente diverso. Negli ultimi 30-40 anni l’inflazione è stata tenuta sotto controllo da fattori persistenti – digitalizzazione, sviluppi demografici, invecchiamento della popolazione – che tendono a calcificare. Diverse delle componenti osservate dopo la crisi finanziaria globale si trovano ora all’estremo opposto dello spettro. Entreremo in questo ciclo economico in condizioni decisamente migliori, che ci permetteranno di assistere a un rialzo dell’inflazione. E, a scanso di equivoci, non sto parlando di un’inflazione intorno al 3%. Sto parlando di un’inflazione intorno al 2%. E non dimentichiamo che nel terzultimo e penultimo ciclo economico, durati nell’insieme circa 20 anni, il CPI complessivo si è attestato in media al 2,8%, un livello ritenuto storicamente basso in termini relativi. Io anticipo un livello vicino ma inferiore al 2%, ma il mercato non la pensa così.

Alcuni osservatori hanno tracciato un parallelo tra la fase attuale e quella seguita alla crisi finanziaria globale. Cosa ne pensi?

Se scorriamo l’elenco vediamo che la situazione odierna e quella successiva alla crisi finanziaria globale presentano nette differenze. All’apice della crisi finanziaria globale i tassi di risparmio personali sono diminuiti, mentre ora ci troviamo dinanzi a tassi di risparmio personali molto elevati. La generazione di reddito era più bassa, mentre ora vediamo tassi decisamente più alti, anche al netto dei sussidi erogati dai governi. All’indomani della crisi finanziaria globale la ricchezza netta ha subito una forte diminuzione, inducendo i lavoratori più anziani a rientrare nella forza lavoro, mentre oggi la ricchezza netta in termini nominali è sui massimi storici. Come ho già avuto modo di dire, all’epoca abbiamo visto banche, famiglie e governi intenti a ridurre l’indebitamento. Ci siamo ritrovati con un ampio e persistente output gap negativo, tassi di disoccupazione elevati e grandi quantitativi di capitale parcheggiati.

Se tutti riducono simultaneamente l’indebitamento, è particolarmente difficile uscire da un contesto di crescita debole e disinflazione. Non credo che assisteremo a manovre di austerità fiscale nel prossimo futuro. E per austerità fiscale non intendo solo la riduzione dei deficit pubblici. Per quello dovremo aspettare il ritorno della crescita. Sto parlando di tagli alla spesa e di aumenti delle imposte. A mio avviso non è questo il futuro che ci aspetta, negli Stati Uniti come in gran parte del mondo sviluppato. Con ogni probabilità, avremo un output gap positivo e possibilmente di proporzioni che non si vedevano da molti decenni. È molto difficile generare inflazione in presenza di un output gap negativo. È decisamente più facile generare inflazione quando l’output gap è positivo e quando i tassi di disoccupazione sono molto bassi e quelli di utilizzo della capacità molto alti. A mio avviso le differenze sono nette. Tuttavia, bisogna tenere conto della quantità di debito pubblico creata. Anche dopo la crisi finanziaria globale il debito è cresciuto esponenzialmente, ma non quanto oggi. E il profilo di sostenibilità del debito pubblico è destinato a peggiorare ulteriormente. Se non registreremo un miglioramento della crescita, soprattutto in termini nominali, nel prossimo ciclo economico ci ritroveremo a dover ripagare tutto questo debito pubblico aggiuntivo da una posizione ancora più debole.

Bisognerà necessariamente avere un certo aumento del PIL nominale affinché la sostenibilità del debito pubblico non diventi più problematica col progredire del ciclo economico.