Ora l’inflazione scuote seriamente i mercati

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L’inflazione sta tornando in auge: negli USA è ora a livelli che non si vedevano dai primi anni ’90. Ma qual è la giusta interpretazione della tendenza, e cosa significa per i mercati finanziari? È ancora possibile continuare a liquidare l’inflazione come un “mero” riflesso della scarsità dell’offerta?

In primo luogo, è chiaro che i mercati ora tengono d’occhio seriamente i dati dell’inflazione, che di recente hanno raggiunto livelli record, con i rendimenti dei Treasury USA a 10 anni che sono aumentati di quasi 0,25 punti percentuali, mentre l’euro è sceso del 2,5%. Tale sviluppo ha spinto alcuni esponenti, come l’ex membro del FOMC Bill Dudley, a suggerire che la Fed è in ritardo sui tempi, e che i tassi di interesse saliranno prima e a intervalli più brevi di quanto la maggior parte di noi si aspetti. Questo punto di vista si adatta male alle indicazioni che stiamo ricevendo dagli attuali banchieri centrali, che parlano ancora di un’alta inflazione temporanea seppur più persistente del previsto.

Quindi, a cosa credere?

Le ragioni di entrambi

Il recente rapporto sull’inflazione negli USA fornisce argomenti ad entrambe le parti. A sostegno della tesi dei banchieri centrali, i celebri problemi con la catena di approvvigionamento globale influenzano i dati molto di più di altri fattori. D’altra parte, a sostegno dei falchi ci sono cifre che evidenziano come negli Stati Uniti sia diventato significativamente più costoso comprare o affittare un posto dove vivere, e che l’inflazione, particolarmente influenzata dal costo del lavoro, sia in forte aumento.

Personalmente, tendo ad essere più sul lato moderato che su quello dei falchi, benché io abbia qualche dubbio. L’inflazione è chiaramente in aumento, ed è addirittura su una traiettoria che supera l’obiettivo della banca centrale.  Ma non ci stiamo nemmeno dirigendo verso il drammatico inferno dell’inflazione che alcuni analisti prevedono – almeno non ancora.

A che punto siamo del ciclo?

Alla base di qualsiasi tesi d’investimento dovrebbe esserci una chiara idea di dove ci troviamo nel ciclo economico. Ecco perché è anche cruciale per gli investitori determinare se i numeri dell’inflazione suggeriscono che l’economia statunitense stia già correndo a pieno ritmo e stia per surriscaldarsi. Se questo fosse vero, allora saremmo molto più avanti nel ciclo di quanto valutato in precedenza: ciò significherebbe anche che i tassi d’interesse dovrebbero aumentare più bruscamente e che i mercati azionari dovrebbero affrontare molte più turbolenze.

In questa linea di pensiero, gli ultimi dati sull’andamento dei salari rappresentano una lettura scomoda. I datori di lavoro aumentano sempre più le buste paga, e questo suggerisce chiaramente un assottigliamento della disponibilità di forza lavoro. Ci sono circa 2 milioni di persone che potrebbero rientrare nella forza lavoro. La stima è incerta, ma mi dà un po’ di conforto: c’è ancora spazio di crescita per il mercato del lavoro statunitense, quindi non penso che l’economia sia già in fibrillazione.

La mia opinione, tuttavia, è un po’ meno ottimista di quella espressa dal Presidente Powell sulla capacità residua. Siamo ora in una situazione in cui o la Banca Centrale lascia che l’economia si surriscaldi, o fa un’inversione a U e lascia che i tassi di interesse salgano più velocemente di quanto annunciato in precedenza. Tenendo a mente che la Banca Centrale poco più di un anno fa ha allentato la sua posizione su quanto l’inflazione debba muoversi sopra il 2%, sembra più probabile che lascerà che l’economia vada in fibrillazione con bassi tassi di interesse.

Un’ulteriore sfida alla narrativa che l’alta inflazione negli Stati Uniti sia temporanea arriva quando si approfondisce l’origine dell’inflazione. Questo è un argomento un po’ tecnico, ma finora l’alta inflazione è stata causata dall’aumento dei prezzi delle materie prime. Questo quadro cambierà nel prossimo futuro, quando aumenterà l’inflazione sui servizi. La ragione è che il costo dell’affitto conta come inflazione dei servizi, ed è principalmente guidato dall’andamento dei prezzi delle case. Dato che i prezzi delle case sono aumentati drammaticamente nell’ultimo anno, l’inflazione dei servizi accelererà nei prossimi trimestri.

È facile liquidare i problemi di alta inflazione come temporanei quando si parla di beni vulnerabili ai problemi delle catene di fornitura. Ma è più difficile liquidare i problemi di inflazione quando i servizi – dove i salari contano molto di più – iniziano a salire. Tutto sommato, la natura mutevole dell’inflazione ha aumentato il rischio che la Fed debba alzare i tassi d’interesse più velocemente e più bruscamente, e il mercato ha bisogno di prezzare questo rischio.

E i mercati?

Cosa significa questo per i mercati finanziari? Anche se il ciclo economico è più avanzato di quanto si pensasse, probabilmente ci sono ancora risorse inutilizzate nell’economia statunitense. E così essa può – presumibilmente – continuare a crescere senza che la pressione sulla Fed per un irrigidimento della politica monetaria diventi insopportabile.  Allo stesso tempo, c’è ancora molta domanda repressa nell’economia globale, quindi ci sono segni positivi anche qui.Ma i rischi stanno chiaramente aumentando su diversi fronti.

In primo luogo, gli investitori devono essere particolarmente consapevoli del fatto che il rischio di un irrigidimento da parte della Fed è più forte rispetto al passato. Se ciò dovesse accadere, è probabile che si verifichi un terremoto in un mercato che attualmente si è abituato a climi più distesi. In secondo luogo, mentre la crescita sta fondamentalmente andando bene, ci sono venti contrari a breve termine che provengono, per esempio, dalla degradazione delle catene di approvvigionamento globale, dal rallentamento dell’economia in Cina, e dal fatto che la tendenza fiscale globale è diventata da favorevole a contraria. Allo stesso tempo, c’è stata una stretta sulla liquidità da parte della Fed, con il ridimensionamento degli acquisti di obbligazioni. Tenendo a mente questi venti contrari a breve termine, un posizionamento più netto da parte della Fed sarebbe ancora più impegnativo per i mercati finanziari.

La combinazione di una Banca Centrale statunitense potenzialmente più falco e di venti contrari alla crescita a breve termine aumenta significativamente il rischio di grandi impennate del mercato azionario. Ha senso adottare un approccio leggermente più conservativo alle azioni: il contesto potrebbe non permettere di trarre pieno vantaggio dal rally azionario che di solito si verifica nelle ultime settimane di dicembre – il cosiddetto “Rally di Natale” – ma lascia più capitale a disposizione in caso la turbolenza nei mercati azionari crei opportunità nel nuovo anno.