Crescita, inflazione e geopolitica le prime variabili da monitorare

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Il nostro scenario economico per il 2022 prevede una continua crescita, superiore al tassotendenziale di lungo periodo, nella prima metà dell’anno, specialmente nelle economieavanzate. La crescita sarà sostenuta in particolare dall’eccesso di risparmio accumulatodurante i lockdown. A titolo di esempio, dall’inizio della pandemia la ricchezza dellefamiglie americane è aumentata del 22%. I dati evidenziano che l’aumento è statorelativamente omogeneo tra i diversi centili di reddito e di età. Nel secondo semestre dell’anno, la crescita dovrebbe normalizzarsi via via che il processo di riapertura delle economie si esaurirà, che l’eccesso di risparmio sarà speso e che i vari piani emergenzialigiungeranno a conclusione. Lo stesso vale per l’Europa, che si avvia verso il 2022 con una domanda solida. Le nuove misure sanitarie introdotte di recente non dovrebbero perdurare a lungo, e ciò sosterrà la fiducia dei consumatori e la domanda globale. Tuttavia, è probabile che l’attività economica subisca un rallentamento dopo l’estate del 2022, nel momento in cui gli attuali fattori positivi si saranno stabilizzati. Inoltre, l’Europa rimane esposta all’economia cinese; di conseguenza, il recente rallentamento della crescita in Cina potrebbe avere un impatto sull’economia europea nonostante i piani di stimolo previsti. Infine, non si può escludere un possibile inasprimento delle attuali tensioni geopolitiche, come quelle tra Europa e Bielorussia o tra Stati Uniti e Cina.

Sul piano politico, il rischio che negli Stati Uniti i Democratici perdano il controllo della Camera e/o del Senato alle elezioni di metà mandato di novembre 2022 è aumentato. Di conseguenza, il Presidente Biden sarà ancora più attento nella scelta delle nuove misure politiche.

In Europa, la Francia e l’Italia si preparano alle prossime elezioni presidenziali in programma nel 2022. Il Presidente Emmanuel Macron cercherà di conquistare un secondo mandato ad aprile, mentre in Italia c’è una crescente incertezza riguardo alla possibilità che il Premier Mario Draghi diventi Presidente della Repubblica. Qualunque sia il loro esito, non crediamo che queste elezioni possano alterare significativamente la stabilità politica in Europa. Pur ritenendo che, nel breve periodo, l’inflazione possa aumentare ulteriormente in Europa e negli Stati Uniti, le pressioni sui prezzi dovrebbero esaurirsi progressivamente nel corso del prossimo anno, via via che gli squilibri tra offerta e domanda e le tensioni sul mercato del lavoro si attenueranno. L’inflazione dovrebbe mantenere un ritmo sostenuto, in linea con gli obiettivi delle banche centrali, per un certo periodo di tempo, prima che i fattori deflazionistici, come le dinamiche demografiche, si manifestino nuovamente.

È probabile che le difficoltà delle filiere produttive permangano ancora per qualche tempo, ma ciò non dovrebbe stupire i mercati, dato che la spesa per beni di consumo negli Stati Uniti ha superato del 25% il livello pre-crisi. Tuttavia, con la progressiva riapertura delle economie, i consumatori dovrebbero aumentare la spesa per servizi a scapito di quella per l’acquisto di beni, favorendo così l’eliminazione dei colli di bottiglia lungo le catene di fornitura. Si pone quindi la questione di capire se questa inflazione indotta dalla domanda di beni non sarà sostituita da un’inflazione indotta dalla domanda di servizi. A ciò si aggiunge la possibilità che il mercato del lavoro diventi ancora più teso. Negli Stati Uniti, ad esempio, c’è una carenza di manodopera, con 3 milioni di lavoratori mancanti (differenza tra posti di lavoro vacanti e disoccupati), costituiti principalmente dalle persone che hanno abbandonato il mercato del lavoro. Di queste, oltre un terzo ha più di 55 anni e potrebbe quindi avere maggiori difficoltà a trovare un nuovo impiego, o non intende tornare a lavorare, contando sui risparmi accumulati. Inoltre, come nel caso del Regno Unito, una parte di questo gruppo di persone potrebbe avere lasciato il paese a causa dell’incertezza attorno alle politiche sull’immigrazione.

Infine, i prezzi delle materie prime, in particolare quelli dell’energia, restano elevati in un contesto in cui le principali economie (70% del PIL mondiale) si sono impegnate ad azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2050. La transizione energetica continuerà ad esercitare pressioni sui prezzi delle energie fossili, un settore che in questo momento registra un livello di investimenti storicamente basso. Parallelamente, la domanda crescente di energia da parte delle economie emergenti potrebbe superare la produzione di energie rinnovabili. Di conseguenza, e per sostituire le energie fossili, gli investimenti nelle energie rinnovabili dovranno triplicare entro il 2030.