La Musa dei Mercati

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L’atteso dato sull’inflazione di gennaio negli Stati Uniti non ha riservato sorprese e la conseguente reazione di mercato è stata piuttosto limitata. Ad influenzare la tendenza è stata più la sequenza di dati dei giorni successivi, vendite al dettaglio e richieste dei sussidi alla disoccupazione che hanno mostrato un’economia sostanzialmente forte, soprattutto sul lato consumi e mercato del lavoro. Successivamente sono arrivate le dichiarazioni dei due Presidenti della FED Bullard e Meister, membri non votanti del FOMC, che vedono nuovamente con favore un ritocco dei tassi da 50 basis point, con il rischio che alla prossima riunione di marzo i dot plot mediani della Fed possano essere alzati nuovamente, con un terminal rate al 5,5%. Ad inizio febbraio, dopo il recupero dei mesi passati, la curva dei tassi di interesse ha ripreso a salire su tutte le scadenze. Inizialmente in modo più contenuto, come se questa fase di debolezza fosse stata sfruttata per chiudere le posizioni short. Più recentemente abbiamo assistito ad una accelerazione. Le notizie più positive sulle prospettive di crescita implicano, come abbiamo visto, un maggiore inasprimento della politica monetaria per raffreddare l’inflazione e di conseguenza una crescita più debole in seguito. L’attesa recessione potrebbe quindi essere rinviata soltanto di alcuni trimestri. Nel breve è giustificato un rialzo dei rendimenti della parte lunga della curva che però difficilmente dovrebbe raggiungere i massimi dello scorso ottobre.

La situazione della zona euro è simile a quella americana

In realtà è dalla scorsa estate che i dati macroeconomici dell’area battono tendenzialmente le stime degli analisti. Il forte rialzo dei prezzi dei prodotti energetici e i danni legati alla guerra in Ucraina hanno avuto effetti limitati, il pessimismo è risultato eccessivo. La volontà della BCE di proseguire nei rialzi dei tassi ufficiali nelle prossime riunioni potrebbe però determinare, in prospettiva, il deterioramento macroeconomico.

Il mercato azionario a sua volta, dai minimi di ottobre, ha avuto un recupero ragguardevole. Il primo mese dell’anno è stato particolarmente effervescente. Se analizziamo il dato alla scorsa settimana in modo più approfondito notiamo come il movimento non sia stato generalizzato: nei paesi Emergenti, Stati Uniti e Giappone, i primi dieci titoli dei rispettivi indici, che pesano circa il 24%, hanno contribuito tra il 48% e il 61% sulla performance totale. Unica eccezione l’Europa ex-UK dove le prime 10 mega cap (26% di capitalizzazione) hanno invece sottoperformato il benchmark, contribuendo soltanto al 17% della performance totale. Adesso con attese di rialzi dei tassi più prolungati e con il successivo potenziale indebolimento economico, l’investimento azionario su questi livelli risulta più vulnerabile.