Un insieme di sfide macro: dai consumi alla stagflazione in Europa

Daleep Singh, Chief Global Economist, PGIM Fixed Income -

Alcuni mesi fa, abbiamo riflettuto sulle peculiari sfide da affrontare nel formulare previsioni per un ciclo economico afflitto da una ripresa disomogenea dalla pandemia, dagli effetti a catena della guerra in Ucraina e dalla perdita di credibilità nella lotta all’inflazione delle maggiori banche centrali. In tale contesto, l’economia globale si è finora evoluta secondo le nostre aspettative: i dati retrospettivi e prospettici mostrano chiare tendenze al ribasso per l’inflazione dei beni e dei beni rifugio negli Stati Uniti, mentre l’inflazione dei servizi sta iniziando una graduale discesa man mano che la crescita dei salari mostra i primi segnali di rallentamento. Inoltre, il ritmo senza precedenti della stretta monetaria da parte delle banche centrali globali sta rallentando lo slancio dell’economia reale, soprattutto nei settori più sensibili ai tassi d’interesse, anche se il mercato del lavoro e i consumi rimangono più resistenti di quanto avessimo previsto. Ancora più sorprendenti sono stati gli ultimi sviluppi della Cina, dove l’abbandono dell’approccio “zero-COVID dinamico” è stato più rapido e più radicale del previsto, offrendo forse all’economia globale un’iniezione di fiducia di cui si sentiva il bisogno. Nel complesso, il grande interrogativo per gli investitori di tutto il mondo si sta spostando dall’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse all’intensità del rallentamento della crescita nonché al momento in cui i policymaker offriranno il proprio sostegno.

Considerando l’impegnativo insieme di venti contrari appena descritto, continuiamo a ritenere elevato il rischio di recessione degli Stati Uniti nel 2023. Inoltre, riteniamo che una contrazione – se si materializzerà – sarà probabilmente più ampia rispetto al consenso. Nel dopoguerra, la recessione media da picco a picco è pari a 3,7 punti del PIL (la contrazione mediana è di 2,4 punti) e il nostro scenario di base prevede una contrazione del 4,0%. I settori sensibili ai tassi di interesse, come l’attività edilizia e i beni di consumo durevoli, hanno già iniziato a calare, anche se riconosciamo che la spesa dei consumatori in aggregato rimane resiliente, in quanto le famiglie beneficiano di solidi redditi da lavoro e degli abbondanti risparmi accumulati durante la pandemia.

Prevediamo che i consumi si ridurranno sostanzialmente nella prima metà del 2023 a causa dell’allentamento dei mercati del lavoro, dell’esaurimento dei risparmi e dell’inasprimento delle condizioni di credito. Lo sviluppo più incoraggiante dell’economia statunitense nell’ultimo trimestre è rappresentato dall’inflazione: quasi tutte le categorie di prezzi al consumo hanno mostrato una tendenza disinflazionistica negli ultimi tre mesi. L’inflazione dei servizi, esclusi gli alloggi, la categoria più importante per la Fed in quanto costituisce circa la metà della spesa per consumi di base, sta finalmente mostrando chiari segni di decelerazione che probabilmente continueranno nel 2023, con la moderazione dei salari nominali. Nel frattempo, i prezzi dei beni di consumo di base si stanno avvicinando a un ritorno alla deflazione vera e propria, grazie alla debolezza su larga scala di categorie precedentemente di grande richiamo, come i veicoli usati e le attrezzature per la casa.

Sostenuti dall’effetto ritardato di un dollaro forte e dalla normalizzazione delle catene di approvvigionamento, riteniamo che la tendenza disinflazionistica dei beni di consumo di base continuerà nella prima metà del 2023. Per quanto riguarda la politica monetaria, gli sviluppi favorevoli dell’inflazione convalidano la recente riduzione del ritmo di inasprimento della Fed. Dall’attuale limite del 4,5%, ci aspettiamo che il tasso sui Fed fund raggiunga il 5% entro la riunione di marzo, anche se i rischi restano sbilanciati verso l’alto se il mercato del lavoro dovesse rimanere più rigido – e i prezzi dei servizi più alti – più a lungo di quanto attualmente previsto.

Il nostro scenario di base prevede che l’indice dei prezzi PCE scenda al 2,5% entro il quarto trimestre del 2023, consentendo alla Fed di orientarsi verso una posizione più neutrale nel contesto di una recessione economica, con tagli dei tassi di 50-75 punti base entro la fine del 2023. Tuttavia, riconosciamo immediatamente che il ritorno all’obiettivo della Fed di un inflazione al 2% potrebbe non essere lineare, in quanto le forze strutturali descritte in precedenza esercitano una pressione al rialzo sull’inflazione tendenziale e potrebbero mantenere i tassi di riferimento vicini al picco per un periodo più lungo di quello previsto nel nostro scenario di base.

A differenza degli Stati Uniti, l’Europa si trova di fronte ad una concreta e netta possibilità di entrare in stagflazione. Prevediamo una contrazione del PIL dell’area euro dello 0,9% entro la fine del 2023, inferiore al consenso mediano che prevede un calo dello 0,1%. Sebbene molti analisti si aspettino una ripresa economica entro la seconda metà del prossimo anno, riteniamo molto probabile che lo slancio della crescita venga intaccato da un’ulteriore riduzione delle importazioni di energia dalla Russia, che scenderanno a circa 15
miliardi di metri cubi dai circa 70 miliardi di metri cubi del 2022.

Dovendo procedere tra la persistente inflazione nel settore energetico e la perdita di slancio della crescita, i funzionari della BCE hanno inviato un messaggio eccezionalmente aggressivo, se non addirittura confuso, durante l’ultima riunione, affermando contemporaneamente l’intenzione di dipendere dall’andamento dei dati e fornendo una forward guidance esplicita dei successivi aumenti dei tassi nelle prossime riunioni. Questi messaggi contrastanti sollevano lo spettro della volatilità di mercato nel 2023 e aumentano l’incertezza per
un’economia che sta già lottando contro le interruzioni dell’offerta.

Detto questo, la politica fiscale offre un barlume di speranza per l’Europa, poiché il boom economico prebellico lascia ai governi nazionali un certo margine di manovra per sostenere le famiglie e le imprese a combattere la crisi energetica senza espandere significativamente i deficit fiscali. Inoltre, nazioni come l’Italia e la Spagna continueranno a beneficiare dei fondi UE di nuova generazione fino al 2027 e potrebbero essere messi a disposizione ulteriori finanziamenti per le economie dell’Europa centrale e orientale più esposte allo shock energetico russo.
Dall’altra parte della Manica, la stabilità finanziaria nel Regno Unito sembra essere in gran parte recuperata grazie alla rinnovata credibilità istituzionale data dal nuovo governo e dal ripristino della politica fiscale. Nonostante le previsioni indichino crescita debole e inflazione elevata, la banca centrale è riuscita a evitare azioni che avrebbero ulteriormente spaventato gli investitori. Sebbene riteniamo che il PIL diminuirà probabilmente dell’1,4% nel 2023, l’inflazione elevata renderà necessario un aumento del tasso di interesse bancario da parte della BOE a circa il 5% entro la fine dell’anno, rispetto all’attuale 3,5%.

Per concludere, il nostro quadro di riferimento fondamentale finalizzato a comprendere le cause della recessione rafforza le nostre previsioni negative sull’economia globale per il prossimo anno. Detto questo, la probabilità che si verifichino scenari più rosei, tra cui un “atterraggio morbido” della crescita che torni ai livelli mediani negli Stati Uniti, o addirittura un boom del “PIL nominale” trainato dagli ingenti investimenti pubblici legiferati nell’ultimo anno, è aumentata negli ultimi mesi, in particolare con l’inflazione in calo dal recente picco.

Questi sviluppi positivi offrono ai funzionari di politica monetaria una maggiore flessibilità per guidare l’economia globale verso una continua espansione, anche in un contesto caratterizzato da continui e persistenti shock, il che ci fa propendere verso un orientamento umile e aperto a un’ampia gamma di risultati nel corso dell’anno.