La rilocalizzazione prende il posto della delocalizzazione

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Di tutte le lezioni apprese durante la pandemia forse la più importante per le società è ora evidente a posteriori: affidarsi a singoli anelli della catena di approvvigionamento globale è stato un errore. Durante la crisi di COVID-19, i principali componenti della catena di approvvigionamento si sono disgregati, causando carenze di ogni genere, dalle forniture e attrezzature mediche ai mobili e ricambi per auto. In tale contesto si sono inseriti anche eventi geopolitici: le tensioni tra Stati Uniti e Cina e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno messo in evidenza i rischi di affidarsi troppo a un unico luogo per le forniture essenziali, tra cui energia, generi alimentari e chip per computer.

Con la rapida diffusione della globalizzazione negli ultimi decenni, le società hanno spostato le loro attività produttive nei Paesi più efficienti ed economicamente più vantaggiosi.

Questo è stato un bene per i profitti delle società e per i prezzi al consumo. Tuttavia, di recente abbiamo constatato che l’interruzione delle catene di approvvigionamento può causare problemi reali. Ad esempio, l’Europa si è resa conto di dipendere troppo dalla Russia per il gas naturale. E ritengo che lo stesso valga per altri prodotti, come i chip per computer. Il mondo dipende troppo dall’Asia, e in particolare da Taiwan, per i semiconduttori.

La rilocalizzazione prende il posto della delocalizzazione

Nel 2023, molte società — in alcuni casi spinte da massicce sovvenzioni governative — stanno compiendo grandi passi per diversificare le loro catene di fornitura, privilegiando l’affidabilità e la solidità rispetto a costi ed efficienza. Ciò significa riportare in patria parte della produzione, o “rilocalizzarne” e spostarne una parte in altri Paesi. Tale tendenza ha fatto sorgere il dubbio in merito a un’eventuale deglobalizzazione del mondo. Tuttavia, sulla base dell’attività commerciale degli ultimi anni, il nuovo percorso sembra più che altro un adeguamento calibrato delle catene di approvvigionamento globali, parzialmente interrotto dalla pandemia e dalla crisi finanziaria del 2007-2009.

La strategia Cina+1

In questo contesto di diversificazione delle catene di approvvigionamento, una convinzione comunemente errata è che la Cina possa essere soppiantata come principale base produttiva del mondo. Molte società stanno invece adottando una “strategia Cina+1”, mantenendo le attività in Cina e aggiungendo nuovi impianti altrove. È probabile che gli investimenti crescenti in Cina si concentrino principalmente sul mercato interno, mentre gli investimenti aggiuntivi in altre località si rivolgono al resto del mondo.

Una domanda fondamentale è se la strategia Cina+1 sarà scalabile o meno. È possibile aggiungere un nuovo stabilimento in India o Messico, ad esempio, e aumentare la produzione secondo necessità? La manodopera e l’energia elettrica sono sufficienti? È disponibile l’infrastruttura logistica? Il management è in grado di gestire la maggiore complessità? Sono queste le domande su cui ci stiamo concentrando mentre ricerchiamo tali sviluppi e opportunità di investimento. Non tutte le società riusciranno a farlo nel modo giusto.

In effetti, il flusso di investimenti crescenti è un parametro importante da monitorare per gli investitori. Secondo un’indagine condotta nel 2021 dall’AmCham Shanghai sulle società straniere che operano in Cina, le principali destinazioni degli investimenti reindirizzati erano il Sud-est asiatico, il Messico, l’India e gli Stati Uniti. Tuttavia, solo 63 delle 338 società intervistate hanno dichiarato di avere piani di questo tipo, il che suggerisce che il processo di rilocalizzazione potrebbe essere più lento e ponderato di quanto alcuni operatori del mercato si aspettino. Potrebbe volerci un decennio prima che le società effettuino una transizione completa. Il processo però è certamente iniziato e crediamo che sarà uno dei temi di investimento più importanti degli anni 2020.

Chi trae vantaggio dalla rilocalizzazione?

Con un’impresa di tale portata, le implicazioni per gli investimenti sono diffuse in settori e aree geografiche differenti. Di seguito quattro aree che si prevede beneficeranno della rilocalizzazione nei prossimi anni.

1. India Grazie alla sua vicinanza alla Cina, a una forza lavoro ben istruita e a un’economia in rapida crescita e favorevole alle imprese, l’India potrebbe essere il Paese meglio posizionato per trarre vantaggio dalla diversificazione della catena di approvvigionamento. Il governo indiano ha adottato misure audaci per incoraggiare l’espansione delle attività produttive, in particolare nel settore degli smartphone, dove Apple lavora con appaltatori come Foxconn per costruire gli ultimi iPhone. Si prevede che il settore manifatturiero accelererà nel prossimo decennio, trainando la crescita dell’economia indiana e dando impulso ad altri settori come quello bancario, energetico e delle telecomunicazioni. L’India è probabilmente meglio posizionata oggi di quanto lo fosse la Cina 20 anni fa.

2. Messico Analogamente all’India, la vicinanza del Messico a una delle maggiori economie mondiali lo rende una base interessante per l’espansione delle attività produttive e logistiche. Molte società statunitensi vi si sono trasferite negli anni Novanta, dopo l’adozione dell’Accordo nordamericano per il libero scambio (NAFTA). Questo processo è stato accelerato da un accordo commerciale rinnovato, l’Accordo USA/Messico/Canada (USMCA), ratificato nel 2020. Le esportazioni annuali del Messico verso gli Stati Uniti sono aumentate notevolmente negli ultimi anni. Sebbene gran parte di questo fenomeno sia dovuto all’influenza delle società americane, anche la Cina si sta espandendo in Messico. Ad esempio, Hisense Group, uno dei maggiori produttori cinesi di elettrodomestici, sta costruendo un parco industriale da 260 milioni di dollari a Monterrey, con l’obiettivo di produrre frigoriferi, lavatrici e condizionatori per il mercato statunitense. Nel settore automobilistico, anche BMW e Nissan hanno recentemente ampliato le loro capacità a sud del confine.

3. Fornitori di automazione Uno dei maggiori ostacoli alla diversificazione delle capacità produttive mondiali è la cronica carenza di manodopera, soprattutto nelle economie sviluppate. L’automazione alimentata dall’intelligenza artificiale (IA) potrebbe rappresentare una soluzione a questo problema. Molti Paesi asiatici stanno stabilendo la tendenza con alti tassi di automazione industriale, mentre gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero seguirli. Entrambe le regioni hanno margine di crescita, il che dimostra che le prospettive sono rosee per le principali società del settore della robotica globale, tra cui la società giapponese Keyence, la società francese Schneider Electric e la società svizzera ABB Ltd. Anche Amazon sta sviluppando la sua incredibile tecnologia basata sull’intelligenza artificiale.

4. Multinazionali Sebbene possa sembrare controintuitivo, le stesse società multinazionali che hanno beneficiato maggiormente del rapido processo di globalizzazione in passato potrebbero essere meglio preparate a navigare nel nuovo e coraggioso mondo della ri-globalizzazione. Le società più grandi e influenti del mondo hanno raggiunto questa posizione per un motivo: spesso hanno l’esperienza e le risorse necessarie per adattarsi ai cambiamenti dei modelli commerciali meglio delle società più piccole che operano in singoli mercati. A nostro parere, le società multinazionali ben gestite manterranno i loro impianti di produzione e le loro basi di clienti a livello globale, ma aumenteranno sempre più la propria presenza a livello locale nelle loro operazioni. La definiamo ‘multi-localizzazione’. Essa implica il ritorno di alcuni segmenti della catena di fornitura negli Stati Uniti, continuando a esternalizzarne altri e creando nuovi impianti di produzione in aree chiave in tutto il mondo.

Se c’è una lezione che abbiamo appreso dalla crisi di COVID, è che le società devono disporre di catene di fornitura diversificate. Non ci siamo già giunti ancora a quel punto, ma il processo è ben avviato.