Quanto è probabile un nuovo credit crunch e quali sono i rischi per le banche?

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Nell’ultimo anno e mezzo le banche hanno iniziato ad adottare una politica molto più restrittiva per quanto riguarda l’erogazione di nuovo credito: i dati americani mostrano non solo una riduzione della crescita dei crediti anno suo anno ma anche una crescita negativa nell’ultimo trimestre, nella misura del -37,2%. Un simile trend è ben visibile anche in Europa.

La riduzione riguarda soprattutto le banche regionali americane che giocano un ruolo molto importante in certi settori economici e soprattutto nel finanziamento del commercial Real Estate, che ha dimensioni importanti tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. Quest’ultimo, in particolare, supera i 10.000 miliardi di dollari in valore in USA, collocandosi a circa 9000 miliardi in Europa.

Dato il contesto attuale, non siamo ancora davanti ad un credit crunch, ma più probabilmente solamente a un credit tightening in settori specifici, come quello dell’immobiliare commerciale. Per gli operatori del settore che devono affrontare notevoli rifinanziamenti del debito o che sono esposti a tassi di interesse variabili, il rischio è che gli interessi da pagare sul debito siano superiori a quello che viene incassato soprattutto dagli affitti degli uffici. Non ci stiamo certamente avviando verso un nuovo 2008, in quanto il valore di questi immobili non è così elevato come quello del residenziale e perché il rapporto loan to value è nettamente più basso. Per questi motivi, potremmo assistere a delle riduzioni del credito disponibile ma non a problemi di ricapitalizzazione del sistema bancario in maniera generalizzata.

Un’altra area da tenere sotto controllo è quella del credito commerciale non investment grade che è cresciuta molto negli ultimi anni con tassi di default bassissimi, spingendo le banche ad aumentare la propria esposizione. Nello stesso arco temporale, però, si è assistito anche all’ingresso di nuovi operatori, non bancari: fondi, obbligazioni e fintech. Questo modera il rischio diretto che le banche hanno verso il credito commerciale di bassa qualità, ma dall’altro lato ha aumentato notevolmente l’esposizione delle banche a operatori finanziari non bancari con un CAGR del 9% dal 2011 al 2021.

L’altro elemento sotto i radar: il capitale

Le politiche restrittive delle banche centrali hanno determinato grosse perdite non contabilizzate nel bilancio delle banche. Questo è un problema soprattutto per le banche regionali americane; per le banche europee il problema è minore in quanto per una questione di regolamentazione queste perdite in parte sono già contabilizzate. Se le perdite non dipendono da un’uscita forzosa di depositi, in cui le banche sono costrette a vendere un portafoglio titoli, queste possono rientrare nel momento in cui i titoli arrivano a scadenza e vengono liquidati al valore di carico. Senza considerare che eventuali buchi potrebbero essere compensati da iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali.

Pur essendo essenzialmente sotto controllo, riteniamo che la crisi della Silicon Valley Bank avrà una serie di conseguenze sul sistema bancario. In particolare, prevediamo:

  • una maggiore regolamentazione;
  • un aumento della tassazione;
  • stress test ancora più stringenti con possibili minori ritorni di capitale per gli azionisti;
  • una stretta creditizia e l’aumento delle perdite dai crediti;
  • la pressione sui margini di interesse a causa di un più alto costo della raccolta;
  • minore redditività e un maggior costo del capitale.

Soprattutto negli Stati Uniti ci aspettiamo un aumento delle fusioni bancarie, specie per quanto riguarda le banche regionali il cui business model è a rischio sostenibilità.