Riconversione energetica: opportunità di crescita per le imprese. In Italia le imprese pagano l’energia più del doppio della Francia, un terzo in più della Germania e il 38% in più della Spagna
Dello scenario energetico italiano ed internazionale si è parlato questa mattina nell’evento dal titolo “Riconversione energetica: opportunità di crescita per le imprese”, organizzato da PwC Italia, un appuntamento del ciclo “Italia 2024: Persone, Lavoro, Impresa”, la piattaforma di dialogo con i massimi esponenti del mondo delle istituzioni e dell’impresa, promossa in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi.
All’incontro hanno partecipato Giovanni Andrea Toselli, Presidente e AD PwC Italia, Luca Dal Fabbro, Presidente Gruppo Iren – Presidente ESG European Institute, Maria Cristina Bifulco, Chief Investor Relations, Sustainability and Communication Officer Gruppo Prysmian, Alessandro Grandinetti, Partner PwC Italia e Clients & Markets Leader, Gianpaolo Chimenti, Partner PwC Strategy& Italia e Energy, Utilities & Resources Advisory Leader, e moderato da Alessandro De Angelis, Vicedirettore HuffPost.
In Italia le imprese pagano l’energia più del doppio della Francia, un terzo in più della Germania e il 38% in più della Spagna. Questa tendenza è sempre più preoccupante, i differenziali fra l’Italia e le altre borse elettriche europee si stanno allargando: lo scorso mese il prezzo elettrico italiano è stato pari a 128,44 €/MWh, 57% in più della Germania, 41% in più della Spagna e 135% in più della Francia.
Le ragioni sono sia strutturali sia contingenti. In Italia costruire centrali e reti elettriche è sempre stato più difficile e costoso che all’estero, per le lunghe procedure di autorizzazione. Inoltre, il mix energetico non ci avvantaggia: troppo sbilanciato sulle centrali termiche a ciclo combinato, che al momento generano l’energia più costosa. Il nucleare della Francia costa meno, l’eolico e il carbone della Germania costano meno, le rinnovabili e il nucleare della Spagna costano meno.
Il tema dei costi energetici, come evidenziato dalle recenti stime della Commissione Europea ed evidenziate anche nel rapporto Draghi, delineano una difficoltà del comparto energivoro a causa degli oneri associati: dal 2021 ha subito un calo del 15% del proprio fatturato. Il fenomeno sta alterando l’industria energivora europea, portando all’aumento dell’import da Paesi con un forte vantaggio competitivo sui prezzi dell’energia (molto più contenuti rispetto a quelli europei). Tra i settori che hanno registrato una variazione della produzione industriale peggiore nel 2022 vi sono le quattro attività più energy intensive: chimica (-4,1% nel 2022), metallurgia (-9,2%), minerali non metalliferi (-2,9%), carta (-1,0%).
Il fenomeno sta alterando l’industria energivora europea, portando all’aumento dell’import da Paesi con un forte vantaggio competitivo sui prezzi dell’energia (molto più contenuti rispetto a quelli europei). Ad oggi sono 1.023.408 aziende (19,3% del totale) e i 3.330.424 lavoratori (19,4% degli occupati) altamente esposti ai rischi da cambiamento climatico.
Negli ultimi 20 anni, in termini di quota di energia elettrica da fonti rinnovabili, l’Italia ha fatto registrare una delle crescite più importanti dell’UE dopo Germania e Spagna: dal 15,9% del 2003 al 35,4% del 2022, con il 20,4% dell’energia consumata prodotta da fonti rinnovabili.
Considerando il complesso delle imprese attive nel sistema produttivo italiano, le società che operano in attività a rischio transizione alto o molto alto sono complessivamente 932.279, (17,6% del totale) e impiegano quasi 2 milioni di dipendenti (l’11,6% del totale). Tra queste, risultano particolarmente numerose le ditte individuali (76,6%) e le aziende agricole (67,9%).
Giovanni Andrea Toselli, Presidente e AD PwC Italia, spiega: “Dall’analisi dei dati, l’Italia sembra essere relativamente pronta ad intraprendere il percorso della transizione verso la neutralità teologica, ma soltanto se si riusciranno a tenere in considerazione le diverse esigenze territoriali e di settore, concedendo il tempo necessario alle imprese e i cittadini di pianificare gli investimenti necessari per tempo senza escludere il contributo pubblico”.
Sul fronte della sostenibilità il vero punto interrogativo è rappresentato da costi elevati e risorse insufficienti. Le stime degli investment needs per l’implementazione delle innovazioni normative e regolamentari intervenute dall‘avvio del New Green Deal (Fit-for-55, RepowerEU, Green Deal Industrial Plan), a livello europeo, corrispondono €1.248,7 mld in media all’anno per raggiungere gli obbiettivi nel 2030. Questo implica un aumento degli investimenti medi annui dell’ordine di circa €520 mld (3,6% del Pil UE), nel periodo 2021-30 rispetto alla media 2011-20. Per un totale cumulativo di €5.200 mld., un ammontare sostanzialmente doppio rispetto a quelli originariamente stimati dalla Commissione stessa per il Green Deal nel 2018.
Tutte le analisi convergono nel segnalare che l’ordine di grandezza degli investimenti complessivi necessari all’Italia per allinearsi ai nuovi obiettivi europei Fit-for-55 oscillano tra i €105,6 mld (ENEL-Ambrosetti) ai €132,8 mld medi annui (ECCO). L’aggravio per le risorse pubbliche sarebbe di circa €20-25 mld annui ovvero 1,2%-1,4% del Pil. Praticamente l’intera manovra finanziaria per i prossimi 10 anni dovrebbe essere investita sulla transizione.
Per realizzare la transizione nel settore elettrico in Italia si stima un fabbisogno di investimenti medi annui dal 2020-2030 pari €15,3 mld (per un totale di €152,5 mld), di cui €9,94 mld nel settore elettrico e €5,31 mld in infrastrutture.
Per realizzare la transizione nel settore trasporti in Italia si stima una spesa di €67 mld all’anno (€670,2 mld in totale tra il 2020-2030), di cui €53,9 mld per ammodernare il parco auto endotermico (euro7) e la transizione ai motori elettrici, €3,5 mld per il trasporto pubblico locale (Bus), €9,4 mld per il trasporto merci e €0,15 mld per i treni a idrogeno.
Per realizzare la transizione nel settore industriale, tenendo conto anche degli investimenti di riconversione produttiva delle raffinerie e dell’effetto su tutto l’indotto economico, la stima per l’intera industria si collocherebbe nell’ordine dei €3,8 – €6 mld medi annui. Di questi, €700 mln annui sarebbero necessari solo per il settore siderurgico, chimico, minerali non metallici e cartiero.
Il risultato presentato considera solamente gli investimenti necessari per la riduzione delle emissioni dirette del settore industriale, mentre non viene analizzata l’intera catena del valore e le ricadute economiche della transizione. In questo senso, la stima degli investimenti necessari affinché il comparto manifatturiero si adatti alle sfide della transizione ecologica, sviluppando tecnologie e prodotti che nel prossimo futuro saranno abilitanti per il raggiungimento della neutralità climatica anche per altri settori dell’economia sarebbe intorno a €1,6 mld all’anno.