La ricetta più rapida, sicura ed efficace per uscire dalla crisi non è certo quella dei Coronabond. E permette di ottenere un trilione di euro (potenzialmente) in pochi giorni

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L’ultimo titolo in homepage su Corriere.it recita: “Merkel, no agli Eurobond. Ho parlato con Conte: ci sono altre soluzioni”. E se tra un paio d’ore riaggiornassimo la pagina troveremmo ben poco di diverso. E sui quotidiani dei prossimi giorni zero sorprese. In effetti la situazione ha una lettura abbastanza facile: non si parla di miopia istituzionale né si richiamano i classici giochi della politica, eppure è evidente la fase di stallo che stiamo attraversando. Le responsabilità? Potremmo dire di tutti e, in questo caso, la condivisione dell’assunzione di responsabilità, riconosciuta più o meno apertamente – cambia poco dal nostro punto di vista – complica il quadro e rallenta la rimessa in moto.

Il paradigma è semplice: l’Italia non può ulteriormente indebitarsi e la Germania non vuole condividere il debito.

Facendo un giro più approfondito in rete, tuttavia, qualcosa di diverso si trova. Nella fattispecie, abbiamo intercettato su https://www.ssrn.com/index.cfm/en/ un recentissimo studio firmato da Eric Schaanning e Giuseppe Insalaco, che offre una chiave di lettura diversa. Che sembra essere la soluzione. Ma procediamo con ordine, iniziando dal link dove è possibile trovare lo studio completo: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3567382.

Il punto di partenza è semplice: ruota intorno alla necessità di uno Stato di indebitarsi e alla sua impossibilità a farlo. Di qui la ricerca di una soluzione alternativa che, in questo caso, passa per l’unica strada percorribile, vale a dire la vendita di asset da parte di un Paese. Ma, primo punto, uno Stato cosa può vendere? Gli Stati possono vendere sul mercato una serie di diritti, come, ad esempio, il diritto ad utilizzare la banda del 4G, o il diritto all’uso di determinati servizi/tecnologie – il caso più evidente in Italia è il canone RAI. Gli Stati, però, possono vendere anche tasse. Ed è qui che c’è una svolta interessante, perché è di tasse che dobbiamo parlare. La strategia ipotizzata nella ricerca suggerisce come l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione Europea possano vendere gli introiti di future tasse, unica modalità per generare flusso di cassa.

Ma di che tassa (futura) stiamo parlando? Il progetto parla di una tassa sulla ricchezza finanziaria, quindi da applicare a tutti gli asset finanziari in maniera generale e non proporzionale. Scendendo nei particolari, si tratta di una tassa molto bassa spalmata su moti anni, quindi dal ridottissimo e assolutamente sopportabile impatto finanziario da parte del destinatario. Per intenderci, il progetto richiama una tassa inferiore ai 5 punti base da pagare – su base annua – per 20 anni. Il risultato? Enorme potremmo dire, perché le stime al riguardano indicano la capacità di generare una cifra pari a un trilione di euro.

Stiamo parlando di patrimoniale? Più no che sì a quanto emerge dallo studio. Stiamo piuttosto parlando di una cartolarizzazione delle tasse, più precisamente dei futuri introiti delle tasse, che poggia sul binomio composto da importo bassissimo e base enorme (gli abitanti dell’Unione Europea). Nulla di più distante dalla creazione di un nuovo debito quindi. E, inoltre, calibrato con indice che poggia sulla quota di popolazione di uno Stato piuttosto che sul livello medio di ricchezza partendo dal presupposto che si tratta di attingere da una fetta di ricchezza delle fasce più abbienti e di indirizzare il gettito all’intera popolazione dell’Unione Europea.

Il risultato, continua lo studio, equivale bene o male alla creazione di un vero e proprio titolo di Stato europeo, idealmente a cedola, con tutte le caratteristiche proprie, e per quanto ci riguarda più da vicino, con tutte le garanzie tipiche di un titolo di Stato “nazionale”. Anche la questione relativa alla tempistica gioca a favore della proposta in oggetto perché viene richiamata la presenza di due istituzioni, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e il Meccanismo europeo di stabilità (ESM) che, a livello comunitario, sono in grado di emettere titoli in tempi limitatissimi.

Infine, un passaggio sulla modalità di pagamento e non solo. Il punto di riferimento è la sede della ricchezza finanziaria quindi, non tanto la dichiarazione dei redditi dei contribuenti quanto piuttosto il monte titoli di ogni mercato azionario e obbligazionario all’interno dell’Unione Europea oppure i conti correnti. Facendo un rapido calcolo, con questi metodi, i punti di raccolta della futura tassa sono poco più di 15.000 nel complesso di cui i primi 100 sono in grado di assicurare una raccolta pari a quasi la totalità del gettito. E tutto ciò con un accento forte ai temi della privacy dato che nessuno Stato dovrà veicolare all’Unione o ad altri Paesi membri dati sensibili.

Nel complesso, lo studio ci pare una soluzione estremamente efficace di questi tempi, sia per completezza che per fattibilità che per estrema rapidità d’esecuzione. A proposito, sui principali portali di notizie online non è cambiato niente rispetto a quando abbiamo iniziato l’analisi dello studio in esame. Magari se i politici fossero meno fissati a ribadire quello che ciascuno non vuole, e piú concentrati a pensare a cosa dobbiamo collettivamente raggiungere, una soluzione la si potrebbe anche trovare.