Debito, il vero “rischio” è la fine della pandemia

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Fin dai primi mesi della pandemia siamo stati convinti che il Covid-19 potesse essere ‘sconfitto’: i progressi tecnologici dal punto di vista dei trattamenti e dei vaccini sono stati straordinari, molto più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, e anche la risposta monetaria e fiscale è stata positiva. In altre parole, arriveremo a un punto in cui il virus in sé non sarà più un problema. Tuttavia, vi è un effetto della pandemia che sarà duraturo, e rappresenterà la vera eredità del Covid-19: l’immenso accumulo di debito che si è venuto a creare in questi mesi, la maggior parte del quale deriva dall’espansione dei deficit – una novità rispetto al passato – speso in sussidi, non in investimenti produttivi o infrastrutture.

Proprio i deficit saranno uno dei driver più importanti per il prossimo periodo: l’accumulo di debito diventerà sempre più problematico via via che la pandemia cessa di esserlo. In effetti, si potrebbe quasi dire che il rischio peggiore per i mercati, in termini di valutazioni degli asset, sia proprio che il Covid-19 cessi di essere un problema. Una volta che inizieranno ad avere effetto le campagne vaccinali – su cui USA e UK sono decisamente in anticipo – e ad emergere farmaci in grado di curare efficacemente i sintomi del Covid-19 per chi lo contrae – e siamo molto fiduciosi che vi siano delle novità in pipeline da questo punto di vista – la crisi sanitaria andrà verso una risoluzione. A quel punto, ci ritroveremo in un contesto in cui l’offerta di debito sarà di molto superiore alla domanda, sia per quanto riguarda i bond sovrani che quelli societari. Ciò rimane vero anche considerando le misure di quantitative easing messe in atto dalle banche centrali: pur significative, in proporzione sono meno consistenti di quelle del 2009, data la vastità del bisogno di finanziamenti.

Tutti gli occhi restano ovviamente puntati sugli Stati Uniti, che hanno l’economia più ampia, il debito più significativo e la Banca Centrale più attiva, in grado di dettare la linea per il resto del mondo. Il deficit USA durante la pandemia ha raggiunto livelli proibitivi, che non si erano mai visti in tempi di pace, e per giunta questo trend sembra destinato a continuare ancora. Va sottolineato, infatti, che il nuovo Presidente Biden e la Vicepresidente Harris sono politici che hanno una carriera pluridecennale nella gestione e nella ‘raccolta’ dei voti in Senato. Hanno quindi una vasta expertise e sanno navigare i regolamenti parlamentari come pochi altri – in questo senso, rappresentano l’opposto di un outsider come Trump. Di conseguenza, ci sono buone probabilità che siano in grado di perseguire i propri obiettivi e realizzare un’ulteriore espansione fiscale. Ci aspettiamo un pacchetto di spese in infrastrutture di $2-4 mila miliardi nei prossimi 6-9 mesi. Si prospetta quindi una politica fiscale molto aggressiva che cercherà di pareggiare le disuguaglianze sociali e fiscali aumentate significativamente nei mesi della pandemia.

In questo contesto di offerta di obbligazioni superiore alla domanda, se la Fed non interverrà ulteriormente, ciò sarà sufficiente a rimuovere il ‘put’ percepito dai mercati e a innescare un restringimento della base monetaria. In altre parole, non c’è bisogno di un aumento dell’inflazione o di un rialzo dei tassi – scenari che consideriamo comunque abbastanza lontani – per avere un contesto di inasprimento, basta che i trend attuali siano lasciati proseguire senza interventi.

D’altra parte, il ‘put’ delle banche centrali è un aspetto che vale negli scenari negativi, ma in un contesto positivo di risoluzione dell’emergenza sanitaria e solida occupazione, le banche centrali non avranno né il desiderio né la giustificazione per intervenire sul mercato.

Questo contesto pone dei rischi significativi, soprattutto per i Paesi più fragili, come si è visto di recente nel caso della Turchia. L’unico Paese in cui la banca centrale ha davvero piena libertà di manovra, essendo creditore netto a livello globale e avendo una valuta abbastanza diffusa, è il Giappone. Gli Stati Uniti hanno una valuta che è riserva globale, ma sono debitori netti e hanno una bilancia commerciale in perdita, cosa che limita le possibilità di azione della Fed. L’Europa potenzialmente avrebbe le condizioni migliori, essendo creditore netto ed essendo l’euro riserva globale, tuttavia presenta una grande fragilità politica, che a nostro avviso porterà la BCE a sospendere le misure straordinarie per la pandemia appena la campagna vaccinale avrà effetto. In mancanza quindi di ulteriori interventi significativi sul fronte della domanda di obbligazioni, tutti gli altri Paesi, che non hanno altrettanta forza a livello politico, valutario o di bilancio, si troveranno a competere tra loro per i finanziamenti. Questa competizione sarà ciò che determinerà il livello dei mercati da qui in avanti.

In conclusione, nel momento in cui il Covid-19 non sarà più un problema, crediamo che l’effetto negativo in termini di condizioni di finanziamento sarà nettamente più significativo per i mercati rispetto all’effetto positivo legato al consumo e alla ripresa dell’economia.

Ci troviamo quindi a un punto di svolta sul fronte macroeconomico. Per noi, in qualità di investitori multi-strategy focalizzati su situazioni ad alto indebitamento – che si tratti di Stati o società – l’universo delle opportunità si è ampliato immensamente in questi mesi. Occorre però muoversi in modo tattico e con immensa cautela, monitorando da vicino le variabili più importanti, che per noi al momento sono domanda e offerta di debito, andamento dei deficit e, ovviamente, la traiettoria della pandemia.