Gli investimenti di qualità “a prova di variante”, per ora, sono in Europa

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Visto che siamo nel mese in cui si disputano i campionati europei di calcio, mi piace seguire sui giornali gli esperti di settore che si lanciano costantemente nei vari pronostici di risultato e verificare se ci azzeccano o meno.

Ovviamente questo non succede quasi mai perché indovinare il singolo risultato di ogni partita è quasi impossibile.

Per la stessa ragione, non mi stupisco più dell’andamento dei mercati finanziari che nel breve periodo hanno sempre dei comportamenti a dir poco erratici e ancor meno prevedibili delle finte di Mbappe’ o delle sterzate di Berardi.

Pur tuttavia quello che non dobbiamo mai perdere di vista è la cosiddetta “big picture”, ovvero il quadro entro il quale ci si muove e nel quale le varianti legate alle mutazioni del Covid potrebbero essere il vero “game changer”.

Se avessimo la certezza che questa maledetta pandemia potesse essere sconfitta definitivamente,  non avrei dubbi in quali asset class mettere i soldi poichè il quadro di riferimento rimarrebbe invariato,  anche se nell’ immediato i traders comprano , vendono e si muovono come dei pazzi.

A mio modo di vedere, i settori da privilegiare se tutto andasse bene non sarebbero certamente quelli che hanno trainato i mercati azionari fino ad oggi e che hanno beneficiato del calo dei tassi di sconto sugli utili a lungo termine. Al contrario, punterei piuttosto su quelli che ne sono stati svantaggiati

Sarebbero infatti i mercati europei – che vedono una maggiore presenza di settori value nei propri listini, ma anche delle ottime aziende nel settore mid e small cap – ad avvantaggiarsi della fine delle restrizioni e dal conseguente slancio della crescita.

E la successiva normalizzazione dei tassi di interesse (non dimentichiamoci mai che chi presta denaro dovrebbe essere remunerato per farlo e non certo pagare) renderebbe appetibili anche le banche e in genere i titoli finanziari del Vecchio Continente, nonostante l’ottima performance da inizio anno.

Pur tuttavia, qualora la variante Delta inglese diventasse più aggressiva, tutto quanto appena consigliato diventerebbe desueto.

Aggiungendo poi al fattore pandemia le parole della FED, si capisce subito come queste logiche andrebbero in corto circuito.

Mi sembra cosa evidente che se le economie continuano ad espandersi e l’inflazione a salire, prima o poi, pur rimanendo “dietro la curva”, la FED dovrà pur cominciare a diminuire gli acquisti e i mercati azionari dovranno farsene una ragione, così come quando questi acquisti finiranno e i tassi torneranno a salire.

Del resto, la storia ci insegna che è quando i tassi salgono che l’economia va alla grande e non il contrario. Bisogna dunque preoccuparsi quando i tassi vengono abbassati.

Dovendo pertanto ragionare sulle varie percentuali e probabilità di scenario, direi che per il 70 % le cose dovrebbero andare bene mentre rimane il 30% di possibilità che possano invece deteriorarsi di nuovo. Purtroppo chi fa il nostro mestiere è sempre obbligato a contemplare anche gli scenari negativi o per lo meno provare a farlo.

Non sono certo piccole fiammate dell’indice Vix o correzioni del 2-3 % a spostare l’ago della bilancia. Anzi, ritengo che movimenti al ribasso anche del 10 % possano essere persino benefici perché quello che conta non è l’immediato ma dove stiamo andando.

Rimaniamo quindi positivi in maniera costruttiva e vigile cercando di evitare però azioni che non meritano multipli alti se non a fronte di forti crescite, così come vanno evitate le “value trap” di quei titoli che sembrano buoni ma il cui prezzo non cresce mai.

Questo è un mercato dove bisogna cercare la qualità.